Emily Jacir (1970) è un’artista palestinese che è cresciuta in Sud Arabia, ha studiato in Italia e ora vive tra New York e Ramallah. In mostra da Peola un suo video in cui riprende tre musicisti che interpretano vibranti pezzi di musica jazz con un sound in cui si mescolano influenze arabe e ritmi occidentali. Si tratta di un concerto che, per volontà dell’artista, si è tenuto in un teatro austriaco a porte chiuse, ma si sarebbe dovuto svolgere a Gerusalemme nel 2003 durante il dodicesimo Festival Songs of Freedom. Esibizione mai avvenuta perché ad uno dei componenti del gruppo, Marwan Abado, di origine palestinese, fu negato l’accesso alla sua terra dalle autorità israeliane per motivi di sicurezza. Eppure era stato invitato ufficialmente dall’ambasciata di Tel Aviv nel Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite ed era in possesso di un visto regolare, permesso che gli ha concesso di trascorrere solo ventiquattro ore nella prigione dell’aeroporto.
Un accesso negato, in una realtà in cui il limite della libertà personale e la violazione dei diritti umani è divenuta una norma, un mondo in cui il territorio è stato frantumato e diviso, sbarrato e conquistato, giocato ai dadi davanti ai grandi capi di Stato. Poi di nuovo violato con la forza, occupato da un esercito che ha scelto di penetrare nell’intimità di ogni focolare e di annullare ogni forma di proprietà e di vita: invadere una casa, cacciarne gli abitanti, murarne l’entrata, significa distruggere l’identità di un popolo, cancellarne la presenza. Impedire gli spostamenti nel raggio di pochi chilometri e instaurare un coprifuoco perenne significa schiacciare e prevaricare, umiliare.
Gerusalemme, Città Santa contesa e dilaniata, Nabl
Sappiamo che Jacir non è la sola artista palestinese a raccontare del proprio popolo. Tra gli altri, Mona Hatoum (nata a Beirut nel ‘52 da una famiglia palestinese) ad esempio, ha un approccio profondamente diverso, molto più diretto e aggressivo: la violenza e il sangue, il deturpare il proprio corpo e il ricreare forme di prigionia inquietanti e ossessive evidenziano un temperamento differente. All’opposto, la Jacir sceglie di fotografare l’interno di un salotto disabitato nel suo estremo rigore e ordine Oppure un edificio in costruzione abbandonato. Con tutta la desolazione circostante.
barbara reale
mostra visitata il 10 febbraio 2007
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