16 marzo 2007

fino al 31.III.2007 Emily Jacir Torino, Alberto Peola

 
Ebrei ed arabi sono assenti nelle foto scattate in Palestina da Emily Jacir. Che preferisce testimoniare l’assenza, il silenzio, la desolazione. Restano le conseguenze delle scelte dell’uomo...

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Emily Jacir (1970) è un’artista palestinese che è cresciuta in Sud Arabia, ha studiato in Italia e ora vive tra New York e Ramallah. In mostra da Peola un suo video in cui riprende tre musicisti che interpretano vibranti pezzi di musica jazz con un sound in cui si mescolano influenze arabe e ritmi occidentali. Si tratta di un concerto che, per volontà dell’artista, si è tenuto in un teatro austriaco a porte chiuse, ma si sarebbe dovuto svolgere a Gerusalemme nel 2003 durante il dodicesimo Festival Songs of Freedom. Esibizione mai avvenuta perché ad uno dei componenti del gruppo, Marwan Abado, di origine palestinese, fu negato l’accesso alla sua terra dalle autorità israeliane per motivi di sicurezza. Eppure era stato invitato ufficialmente dall’ambasciata di Tel Aviv nel Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite ed era in possesso di un visto regolare, permesso che gli ha concesso di trascorrere solo ventiquattro ore nella prigione dell’aeroporto.
Un accesso negato, in una realtà in cui il limite della libertà personale e la violazione dei diritti umani è divenuta una norma, un mondo in cui il territorio è stato frantumato e diviso, sbarrato e conquistato, giocato ai dadi davanti ai grandi capi di Stato. Poi di nuovo violato con la forza, occupato da un esercito che ha scelto di penetrare nell’intimità di ogni focolare e di annullare ogni forma di proprietà e di vita: invadere una casa, cacciarne gli abitanti, murarne l’entrata, significa distruggere l’identità di un popolo, cancellarne la presenza. Impedire gli spostamenti nel raggio di pochi chilometri e instaurare un coprifuoco perenne significa schiacciare e prevaricare, umiliare.
Gerusalemme, Città Santa contesa e dilaniata, NablEmily Jacir - Outside the malja us e Betlemme, paesi infuocati, in cui potrebbe non sopravvivere neppure la speranza che il conflitto cessi, che una forma di pace ritorni. In tutto questo l’artista ha scelto di non rappresentare la miseria e la sconfitta di chi non possiede più nulla, di non mostrare il dolore e la rabbia dei ragazzi dell’Intifada, ma di evidenziarne l’assenza, di rispettarne la dignità. Emily Jacir espone quindi una serie di foto in cui spiccano evidenti segnali di chiusura: il filo spinato dei confini inventati, le sbarre alle finestre, in cui anche l’acqua, elemento vitale, risulta racchiusa e imprigionata, un albero i cui rami sono talmente intricati e distorti da impedire il passaggio della luce. A questi elementi si accompagnano in alcuni casi simboli religiosi, che, inquadrati in un contesto silenzioso o aperti verso un cielo unico e libero, chiedono di non essere la causa di tanto odio.
Sappiamo che Jacir non è la sola artista palestinese a raccontare del proprio popolo. Tra gli altri, Mona Hatoum (nata a Beirut nel ‘52 da una famiglia palestinese) ad esempio, ha un approccio profondamente diverso, molto più diretto e aggressivo: la violenza e il sangue, il deturpare il proprio corpo e il ricreare forme di prigionia inquietanti e ossessive evidenziano un temperamento differente. All’opposto, la Jacir sceglie di fotografare l’interno di un salotto disabitato nel suo estremo rigore e ordine Oppure un edificio in costruzione abbandonato. Con tutta la desolazione circostante.

barbara reale
mostra visitata il 10 febbraio 2007


dall’otto febbraio al 31 marzo 2007
Emily Jacir – Entry Denied
Galleria Alberto Peola, Via della Rocca, 29 – 10123 Torino
tel. 8124460 – fax 0118396467 – da lunedì a sabato dalle 15.30 alle 19.30 mattino su appuntamento (possono variare, verificare sempre via telefono)
e-mail a.peola@iol.itwww.albertopeola.com


[exibart]

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