Dal P.S.1 di New York arriva a Rivoli la prima retrospettiva dell’artista canadese Janet Cardiff (1957, Brussels, Ontario), completa di una selezione delle opere realizzate in collaborazione con il suo compagno George Bures Miller.
L’attività artistica della Cardiff è estremamente variegata. Essa comprende sia installazioni video e interattive, parte principale del suo operare artistico, sia le Walks, opere narrative che giocano sulla stratificazione dei tempi e delle esperienze, lavori in cui una realtà preregistrata viene esperita da una videocamera portatile, come in una sorta di cinema fisico dove il dispay della dvcam diventa schermo della realtà.
Cifra comune dei lavori è l’intervento sullo spazio per modellarlo in modo acustico, per portare il visitatore in un altro universo. È il caso dell’installazione sonora Forty-Part Motet(2001), rielaborazione dell’opera Spem in Alium Numquam Habui (1575)
L’esperienza con il lavoro della Cardiff è generalmente diretta, è il visitatore che attiva le opere, che sembrano in sua attesa. Spesso siamo invitati a toccarle, come nel caso di To touch (1993), dove un vecchio tavolo in legno campeggia al centro di una camera scura illuminato da un fascio di luce, e l’invito a toccare è esplicitato fin dal titolo. Toccandolo, dalle 16 casse audio si scatenano pensieri, ricordi, in una fusione tra quelli del visitatore e quelli dell’artista. In questo modo si stratifica l’universo dell’artista sulle nostre percezioni reali.
The Dark Pool (1995), installazione multimediale, è un teatro della memoria che mette in scena il luogo di un’assenza, in cui un assemblaggio di vestiti, mobili, piatti vuoti, libri,
Il suono ci influenza sia fisicamente che psicologicamente, sostiene la Cardiff, e per questo ci vengono proposti suoni iperreali che sembrano provenienti dalla stanza, dal qui e ora, anziché dalle cuffie dell’installazione audio che rimandano a un altrove che non ci riguarda se non nella finzione. C’è la volontà di far riflettere su come esperiamo i media, sull’addomesticamento che hanno prodotto sulle nostre percezioni, sulla manipolazione del reale, in modo da risvegliare i nostri sensi. Le sue opere ci portano via, ci allontanano dalla realtà per ancorarci maggiormente ad essa. Perdersi per ritrovarsi.
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