Il premio Biella per l’incisione può essere un’occasione per parlare di stampa d’arte, ma anche per provar ad interpretare lo stato dell’arte in un territorio, che è passato in pochi decenni da parte integrante del ricco triangolo industriale ad area periferica. Ci si chiede se anche questa volta la cultura possa essere la giusta medicina. Il dubbio rimane. In una regione storicamente e culturalmente accentrata attorno a Torino, pare infatti molto difficile riuscire in una proposta culturale alternativa e forte per quanto riguarda il contemporaneo. La provincia piemontese, per quanto capace di proposte di qualità, difficilmente si trova nelle condizioni per movimentare massicce forze verso questo settore. Allontanandosi dal capoluogo vengono meno le sinergie, probabilmente gli interessi. Basta analizzare una mappa degli eventi olimpici, per vedere come anche durante questa manifestazione, non considerando gli avamposti storici di Torino (Val di Susa e pochi altri), non si siano trovate sufficienti motivazioni per indirizzare le energie di un territorio verso questo settore.
Lungi dall’essere un toccasana, l’incisione potrebbe comunque e
Ma veniamo al premio. Salta agli occhi il tentativo di sprovincializzare la manifestazione con la partecipazione di molti nomi importanti e una giuria di indiscussa qualità e competenza. Qualcuno potrebbe per la verità definire semplice la scelta di premiare Kiki Smith (Norimberga, 1954) o Rachel Whiteread (Londra,1963), ma occorre davvero rivolgere un plauso particolare allo sforzo compiuto dagli organizzatori nel richiamare nomi di tale livello. Tra le opere esposte si alternano tecniche antiche come la xilografia, l’acqua forte e tecniche nuove che rimangono legate al concetto di incisione solo per il tema della serialità: sono fotoincisioni, stampe a getto d’inchiostro, stampe digitali. Che fanno però perdere parte di quella poetica legata alla manualità e all’artigianato, che tanto contano nel fascino della grafica d’arte.
Particolarmente interessanti sono le acqueforti a bitume e le acquetinte di Guillermo Kuitca (Buenos Aires, 1961),uno dei tre artisti premiati, di cui viene proposta la serie Puro Teatro, in cui viene ricostruito l’interno di diverse sale di scena internazionali. Colpiscono le 21 acqueforti dei fratelli Chapman (Londra, 1962, 1966), My Giant colouring book (il mio album da colorare formato gigante), una delle loro opere più
Se la litografia di William Kentridge (Johannesburg, 1955) è stranamente deludente, ci pensano a tener alto il proprio nome i lavori di Jim Dine (Cincinnati, 1935), carichi di ricordi di bricolage domenicale o le acqueforti di Mona Hatoum (Beirut, 1952), che mantengono intatto il senso di oppressione domestica, che ritroviamo nelle sue opere fatte di piccoli residui organici.
In tutto questo occorre però rivolgere un incoraggiamento speciale a coltivare una vocazione, mettendoci forse anche un maggior coraggio non solo nelle scelte, ma soprattutto nel sostenere nella grafica d’arte un genere autonomo. Sostenere quindi un genere non per forza subordinato alle dinamiche dell’arte ufficiale, partendo dal riconoscere alla tecnica un collante sufficiente tra le opere, senza dover proporre titoli, oltretutto non così originali come “Arte nell’età dell’ansia”. Perché non occorre tirar per i capelli le fobie dell’uomo contemporaneo, perché qualcosa appaia interessante.
alberto osenga
mostra visitata il 21 aprile 2006
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