La solitudine, intesa come assenza di elementi fuorvianti, è condizione basilare per far sì che si sviluppi e cresca il pensiero formante di Maurizio Donzelli (Brescia, 1958). Il suo approccio all’arte si fonda su ascolto, dedizione e costante rinnovamento. Un’irrinunciabile garanzia di continuità, di fedeltà all’ideologia primaria, è offerta dal ricorso al disegno, ma anche dalla necessità di svuotare la mente per non condizionare l’evolversi del tracciato. “Ogni macchia, ogni linea”, rivela l’artista nel testo Il Presente (2006), “richiamano decine di sostantivi, se li assecondassi diventerebbero degli scogli su cui un disegno potrebbe naufragare”.
Per Donzelli l’atto del disegnare rappresenta l’espressione più completa ed edificante dell’agire creativo. Processo durante il quale egli è soltanto un veicolo. Che si tratti di vetro, carta, pellicola, il segno vi imprime il suo potenziale. Al di là dei confini materiali e perimetrali, visivi, sonori, immaginativi.
Nonostante si parta dalla relazione privata e silente tra autore e opera, l’intervento del pubblico è irrinunciabile. Interscambio già indagato, anche se in modo differente rispetto ai lavori più recenti, attraverso la Macchina dei Disegni. Mediante i Mirror qui esposti, il rapporto con lo spettatore -tutt’altro che passivo– è determinato, in primis, dalla posizione che egli può assumere confrontandosi visivamente con essi, ma anche dalle sue specifiche doti percettive. Del resto, come sostiene lo stesso Donzelli, è la coscienza di ciascuno a generare l’interpretazione delle forme. Per il fruitore dell’opera, ancora, spostarsi nell’ambiente espositivo è comunque una manifestazione di volontà, una scelta. Lo spazio circostante diviene una sorta di porto franco, luogo necessario ed ideale, teatro di mille differenti interazioni.
Una risultante sorprendente dal punto di vista concettuale è scoprire che il disegno non è affatto statico, non è immutabile perché impresso. Può essere cangiante, caleidoscopico, rinnovato e rinnovabile ad ogni colpo d’occhio. Come ricorda Mauro Panzera, esso rimanda alla “felicità dell’inconcluso”, del potenzialmente variabile, lottando “linguisticamente per restare sul bordo superiore e non scivolare […] nel budello ristretto dell’opera/cosa” (da Nella solitudine del disegnatore, in Maurizio Donzelli, Mazzotta, 2003).
La forma artistica sollecita l’occhio, lo stimola verso aperture e digressioni. Lo nobilita, lo rende vivace, curioso, per certi versi anche insinuante. Se nelle Vetrofusioni (2002/2003) un certo spessore mantiene l’energia comunicativa implosiva e dunque sfaccettata dall’interno, la profondità dei Mirror la trasforma in esplosiva e la diffonde all’esterno, in innumerevoli direzioni.
Da lontano paiono specchi austeri, incorniciati di scuro. Un po’ più da vicino, ancora, fanno pensare a box surrealisti. Ma a ben guardare sono gabbie trasparenti, che rendono il disegno libero di moltiplicarsi. Superfici che non riflettono nel senso più concreto del termine, ma svelano il loro cuore mutevole, rispecchiando al contempo il desiderio di osservare e conoscere…
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