Tiwanaku è l’epicentro, situato in prossimità del lago Titikaka, di una delle culture più affascinanti del mondo, i cui resti sono stati ritrovati nell’America Latina e più esattamente sull’altopiano dell’attuale Repubblica Boliviana, dove si sviluppò il primo stato andino, estendendosi su un territorio pari due volte l’Italia.
Gli storici fanno risalire l’inizio di questa cultura tra il 500 a.c., quando dall’altro capo del mondo nasceva la civiltà romana e stabiliscono la sua decadenza tra il 1000 e il 1400 d.c.
Nei 237 reperti, presenti in mostra, si tenta di ricostruire il modus vivendi di una società ancora sconosciuta per molti aspetti agli studiosi e agli storici, aiutati solo dalle fonti archeologiche e per nulla scoraggiati dalla mancanza di una documentazione scritta.
I manufatti, sistemati in un contesto scenografico, allestito efficacemente con bacheche in legno e figure geometriche di sabbia, provengono dai musei archeologici di Copacabana, del Lago Titikaka e di La Paz e costituiscono un interessante iter culturale tra i vari aspetti della vita quotidiana, da quello religioso a quello cerimoniale, da quello economico a quello politico, da quello urbano a quello funebre.
L’abilità artigianale di questo popolo fiero ed organizzato, la si può riscontrare leggendo attentamente le figure incise sui tanti vasi presenti. Volendo cogliere ancor più in profondità le simbologie proprie di tale cultura, si troveranno straordinari analogie con culture lontanissime geograficamente, ma spiritualmente sorelle, disegni e simboli mai compresi completamente, neanche dai più accaniti studiosi, disegni e simboli dal significato profondo e intenso, oggi completamente perduto. Lo stesso corpus di simboli si ritrova nella lavorazione tessile, rappresentata in mostra da copricapi, come quello a quattro punte, che veniva indossato, molto probabilmente, da sacerdoti, in qualità di veste cultuale. Stupiscono inoltre, le notevoli conoscenze possedute, tecniche e segreti che a volte sfuggono oggi ai nostri medici, architetti, ingegneri ed agronomi. Proprio nel campo medico curioso e stupefacente risulta l’uso della muffa del mais, progenitore dell’odierna pennicellina, scoperta per altro dopo la seconda guerra mondiale.
A supporto della mostra, gli organizzatori hanno preparato una serie di schede e di fotografie ed un esplicativo plastico che rappresenta l’ingegnoso sistema di irrigazione dei campi, perfettamente parallelo a quattro corsi d’acqua, a detta degli archeologi realizzato scavando con dei semplici bastoni, ma a tutt’oggi, impossibile da riprodurre per ingegneri ed agronomi contemporanei. Chiude il viaggio la presenza spettacolare di steli e statue litiche di diversa altezza, solo un piccolo assaggio di quell’importante patrimonio presente in America Latina.
Pablo Neruda diceva : “Continuerò a sentirmi minimo, inesistente, di fronte alla grandezza di quello splendore” ed è facile pensarlo davanti a tale imponenza che innesca dubbi sulle teorie evoluzionistiche dell’uomo, che celebrano quello contemporaneo, come il migliore apparso sulla faccia della terra.
Rosaria Fabrizio e Stefano Prizio
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