Categorie: toscana

fino al 12.V.2007 | Paola Gandolfi | Firenze, Ugolini Contemporary

di - 5 Aprile 2007

A metà strada tra il denunciato confinamento dell’identità femminile al livello della materialità e la rivendicazione del carattere sessuato, corporeo, dell’esperienza, si pongono le donne-gigante, le donne-mostro, le donne come temibili divinità delle tele di Paola Gandolfi esposte in galleria.
In due opere del 2005 sullo sfondo della planimetria di due metropoli contemporanee, Pechino e Roma, ridotte a un piatto incrocio di linee e colori, emergono rispettivamente una donna ragno dalle sei gambe e una Elettra (dal titolo della tela) a testa in giù, dalla massa di capelli biondi e ingombranti. In Apriti Sesamo, invece, dalla testa di una sorta di Zeus femminile, in preda a dolori lancinanti, sembra schizzare fuori la planimetria di Manhattan che si pone qui, insieme alla parte superiore del corpo nudo della donna, in primo piano rispetto all’interno di una stanza spoglia, con porta aperta e sedia rosa. Forse perchè, anche se dominatrice di immense città, la donna continua a trovare difficile liberarsi davvero dello spazio chiuso tra quattro mura.
Il corpo femminile come luogo formidabile costituisce il soggetto anche del video presente in mostra, Macchina Madre. Più che il rapporto madre-figlio (o figlia), quello che in realtà emerge è ancora una volta il carattere fantastico, persino distruttivo del corpo della madre, della donna. Il figlio, ridotto a una sorta di sonda, penetra nei recessi del corpo materno come in caverne buie e pericolose prima, come in un illimitato universo dopo, nel quale al posto di pianeti e asteroidi vagano seni. I cui capezzoli, naturalmente, si trasformano in bocche che chiudono dentro di sé, per la seconda volta, il figlio-sonda. Il corpo femminile scopre così la sua affinità con la macchina. E in un’altra delle tele in mostra, La donna razzo (2007), una donna dalle braccia e gambe amputate che diventano reattori sta decollando. Viene in mente il Manifesto Cyborg di Donna Haraway (1991), in cui la studiosa auspica una fusione tra donna e macchina, capace di superare i limiti imposti al corpo dalla biologia. Più che di questo ottimismo tecnologico, tuttavia, le opere di Paola Gandolfi sembrano parlare di una somiglianza al livello della forza incontrollabile e temibile di cui sia la macchina che la donna sono dotate. In una parte del video il corpo accovacciato di una donna, nudo, al quale sono attaccate diverse spine della corrente, è percorso da scariche di energia. Un’energia che si ritrova, espressa a livello psicologico e non più metaforico, nella serie delle Teste matte, tele di dimensioni più piccole rispetto alle altre in cui, su sfondi di colore omogeneo si stagliano mezzi busti di donne dalle attitudini enigmatiche. Inquietanti. Incomprensibili.

donata panizza
mostra visitata il 14 marzo 2007


Paola Gandolfi – Macchina Madre
Daniele Ugolini Contemporary, Via Montebello 22r – 50124 Firenze (zona piazza Ognissanti) – Orario: martedì – sabato 16-20 – Ingresso libero
Info: tel/fax +39 0552654183 – www.ugoliniart.com
ugoliniarte@fol.it  – Presentazione di Miriam Mirolla


[exibart]

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  • Insomma, un po banale questo abbinamento donne/planimetrie di città, tra l'altro queste mappe potevano essere studiate meglio, anche più stilizzate e integrarsi meglio con lo sfondo. Poteva diventare un buon lavoro tra figurazione e astrazione! E invece?

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