Le storie di cucina che racconta Emma Innocenti (Firenze, 1975), poco hanno a che fare con l’idea di focolare domestico colmo di rassicurazioni e di piccoli grandi piaceri per il palato e per il cuore.
L’obbiettivo coglie piuttosto ambienti fortemente disumanizzati dove il riconoscimento avviene attraverso i packages suadenti e i nomi delle marche che costituiscono la nostra zoppicante identità. Negli ambienti fotografati dalla Innocenti non si fa indigestione di cibo, ma di pubblicità. Il linguaggio pubblicitario è ampliamente sfruttato, ma solo per essere pervertito, smascherato.
I prodotti sono spesso posti in primo piano, sul tavolo, centro dello spazio su cui le figure umane, quasi incapaci di reggersi sulle proprie gambe, si appuntano o si nascondono, apparendo svaporate e fuori fuoco come accessori parassitari del consumo.
Il cibo non nutre, non dona gioia o piacere, perde ogni aspetto conviviale. La sua rappresentazione oscilla tra i due estremi dell’asettico-sterilizzato e del disgustoso-junk, dimostrando come sia il possesso dell’immagine di marca a costituire il solo appagamento e l’unico orizzonte comune dei membri della famiglia, il cui focolare è irrimediabilmente dissolto nella società dei consumi.
Se in questi scatti umanità rimane, è attraverso la fragilità che si ritaglia uno spazio, protagonista di un erotismo stanco e condizionato. Assalti bulimici a vaschette del gelato placano la solitudine, l’uomo desiderabile fa capolino dietro bistecca e patate, una donna non più giovane in abito da sera si divide tra una banana e un’aragosta.
L’erotismo anoressico di Ellen von Unwerth , fatto di donne ideali che sono esse stesse oggetto di consumo trova il suo contraltare in quello bulimico delle donne immortalate dalla Innocenti. In particolare una foto che vede due ragazze sedute l’una a fianco all’altra, quasi identiche, il seno nudo e il volto coperto da una pizza surgelata, sembra fare eco alla celebre foto della Unwerth dove due modelle sono colte in un istante gemello nell’atto di sfilarsi la maglietta, svelando la serialità del loro corpo.
giovanna gioli
mostra visitata il 6 novembre 2003
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