Jonathan Monk, classe 1969, inglese di nascita e berlinese d’adozione, presenta a Firenze Rosso, titolo che ammicca ai lavori in mostra, che impiegano principalmente questo colore. L’esposizione si può leggere anche come un omaggio all’Arte Povera italiana e in particolar modo al Luciano Fabro dei Piedi (1968/71) e al Pino Pascali delle Labbra (1967).
In A wax work model of my foot painted to look like my mother’s foot (2007), infatti, una lunghissima gamba in stoffa di pantalone jeans termina con il calco del piede dell’artista, che ha le unghie dipinte di rosso. Si capisce immediatamente che quello che interessa a Monk non è un contrasto tra pesantezza e leggerezza, fra durezza e soffice impalpabilità, come accadeva per i Piedi di Fabro, ma la manipolazione iconografica di figure e immagini fortemente referenziate. L’artista inglese si muove in un’oscillazione dialettica fra due poli: quello dell’enfatizzazione fisica e sensoriale e quello di una concettualità abbastanza consumistica.
Il primo caso, in perfetto stile anni Novanta, presuppone un sottile coinvolgimento della vita nell’arte ed è ben individuabile nel lavoro The height of my son when he is sitting on his father’s shoulders, ovvero una livella laser che gira intorno alla stanza proiettando un perimetro rosso che marca l’altezza esatta dell’artista sommata a quella del figlio quando sta a cavallo delle sue spalle. L’impiego della tecnologia dimostra che l’artista è ricettivo ai nuovi mezzi e riflette sulla possibilità di sostituire un manufatto oggettuale con un equivalente segno mobile e luminoso che si concentra sull’atto di percezione dello spettatore.
Nel secondo caso possiamo vedere le strette connessioni che Monk istituisce con il passato, con le opere celebri dei grandi artisti, adoperandosi in un eclettismo manierato e tuttologista accattivante (e furbetto) che spazia dalla scultura alla scenografia, dal video alla performance, dalla fotografia alla pittura. Sarà forse per “mettere in relazione la sua autobiografia fatta di quotidianità con i miti della storia dell’arte”– come riporta il comunicato stampa introduttivo della mostra- che Monk nella cartolina Rose Coloured Glasses utilizza le labbra di Pascali per fissarvi sopra due piercing rossi al posto degli occhi. Ma questo lavoro -omaggio alla serie Pezzi di Donna (1967) grandi tele sagomate in rilievo che delineano con sintetica efficacia plastica i particolari anatomici del corpo femmineo come appunto le labbra rosse, i seni, il pube e una pancia gravida– più che un atto di riverenza appare come un apporto alla memoria.
Sembra che Monk tenti di evocare tutta una serie di immagini note per un confronto che vorrebbe essere ricreativo e intenzionato a fare il punto della situazione su certe suggestioni della pratica artistica. Tuttavia il suo lavoro si presenta non privo di contraddizioni e molto attento al mercato. Anche quando viene presentato in una situazione lontana dalle operazioni commerciali da white cube.
gaia pasi
mostra visitata il 9 marzo 2007
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beh, magari il titolo 'ammicca' anche al Rosso Fiorentino, no? ahiahiahi
da questo articolo il "grande" monk ci appare come una bella montatura... apriamo gli occhi, e non facciamoci fregare!!!
magari una montatura no...ma fossero vivi Boetti e De Dominicis non ci sarebbe spazio per uno come lui