Daniela De Lorenzo porta in galleria il risultato di un anno di indagine, che si condensa in quattro sculture, un video e una dozzina di scatti fotografici. È un lavoro sugli stati d’animo, che parte dall’immaterialità del movimento, del battito monocorde di un basso continuo, per arrivare alla sostanza primitiva e simbolica del feltro. Questi stati della materia (e dell’anima) rappresentano gli attori di un agone in corso tra memoria e dimenticanza.
L’oblio non è altro che l’inabissamento intempestivo di segni e simboli che si sottraggono alla coscienza. Nel lavoro di De Lorenzo coincide con l’immobilità, con il congelamento delle azioni e della gestualità. Dunque, la riflessione sugli stadi psichici viene trasferita ancora una volta intorno al corpo e alle sue estensioni segniche. Sulla ‘corporeità’ vengono individuate alcune aree di suscettibilità in cui è l’astrazione della sua motilità ad adattarsi alle esigenze di un alfabeto cerebrale. Così il corpo diventa davvero veicolo di una pluralità di significati e la fisicità (intesa proprio nella sua immanenza) non coincide più con la corporeità (con quella lunga, lunghissima, lista di valori, cognizioni, emblemi che definiscono il corpo sul piano intellettuale).
Tutto questo è riflesso in un’installazione straordinariamente ariosa e limpida. Tre feltri galleggiano nello spazio, dolorosamente contratti in posture che echeggiano un moto rapido, una corsa, un salto. Ma i loro modelli –se da qualche parte esistono- si trovano sempre al di qua del movimento. Le sculture aprono un dialogo tra gli estremi di identità e di alterità, con i contesti e con se stesse. L’interlocutore antinomico è, in questo caso, il video dove una danzatrice efebica si muove di un moto continuo e circolare, enfatizzato dal ticchettare sommesso, e inequivocabilmente presente, di un assolo di tip-tap senza la musica. Ogni movimento condensa memorie, dunque, che incontrano la prima forma di fragilità nel tentativo di fermarle. Così le foto scattate durante le riprese (che costituiscono il terzo nucleo del progetto espositivo) sono ormai qualcosa di diverso rispetto alla realtà cui fanno riferimento. Sono immagini, già estetizzanti, che non conoscono il movimento ed escludono la possibilità di modificare il passato e il futuro. Ed è questo il primo passo, verso la dimenticanza.
pietro gaglianò
mostra vista il 9 marzo 2005
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