Poco più di venti capolavori, tra sfondi lilla e arancio, raccontano, nelle due sale al piano terreno del Museo del Bargello, Desiderio da Settignano. Lo scultore (date?) morì a soli 36 anni, lasciando poche tracce documentarie, cosi che la storiografia ha potuto piegarne l’immagine a esigenze di moda, specialmente nell’Ottocento, acconsentendo tacitamente ad una lettura dell’artista esteriore ed estetica, se non addirittura estetizzante.
Desiderio viene da un paese di scalpellini e si forma probabilmente presso Antonio e Bernardo Rossellino, mentre Donatello è lontano da Firenze, anche se le sue opere furono senza dubbio oggetto di studio per il giovane scultore. Nel 1453 entra a far parte dell’Arte dei Maestri di Pietra e di Legname e col fratello Geri lavora in una bottega presso Santa Trinita, rivolgendosi per coloriture, sportelli e altro a Neri di Bicci (tra le opere colorate colpisce la cosiddetta Belle Florentine, restaurata e riconosciuta come una Santa Costanza). I ritratti di bambini, sacri o profani, sono un’invenzione di Desiderio, in un momento storico in cui l’infanzia viene riconosciuta come fase dell’esistenza, così come viene riconosciuta l’importanza di fornire ai fanciulli modelli di comportamento a loro consoni. In quella metà del Quattrocento Desiderio interpreta il tema del busto-ritratto con immagini sinteticamente astratte e ricercate. In mostra si potrà svolgere il confronto tra Marietta Strozzi, da Berlino, e il San Lorenzo, tradizionalmente ritenuto opera di Donatello, ma qui assegnato a Desiderio per la vicinanza stilistica e di invenzione. Tecnicamente si tratta di opere raffinatissime anche se, come ricorda il catalogo, erano da
La mostra, già proposta al Louvre e diretta a Washington, assume una fisionomia peculiarmente fiorentina: solo qui le meditazioni possono spaziare fuori dalla mostra verso i monumenti inamovibili di Desiderio a Santa Trinita, Santa Croce e San Lorenzo, restaurati e illuminati per l’occasione e visitabili con lo stesso biglietto della mostra. Una prospettiva più ampia dunque, capace di rileggere il segno della “grazia” nella città moderna.
silvia bonacini
mostra visitata il 22 febbraio 2007
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