Un percorso simbolico che da Boboli s’incunea nel centro storico di Firenze, attraversa piazza della Repubblica, il loggiato degli Uffizi e approda al Museo Archeologico. Qui le sculture sembrano trovare la propria casa. Entrano silenziosamente nelle sale e nelle teche del Museo, le dimensioni si riducono e l’anima dell’Ulisse inquieto torna a Itaca. Introduzione significativa, appena dietro i due busti dell’urna del V sec. a.C. dell’Etruria centrale, inizia con Faccia a faccia una dialettica discreta e silenziosa tra grandi tradizioni e grande scultura. I profili bronzei di Roberto Barni (Pistoia, 1939) si fronteggiano e sembrano interrogarsi e comprendersi. Anche se con Impresa l’artista esprime tutta l’ansia e le difficoltà di un’esposizione così complessa. Tra canopi, anfore e buccheri le figure scultoree si “distendono” e si integrano perfettamente con i tesori del passato. Alcune tematiche essenziali dell’opera di Barni si esprimono in questo secondo atto della rassegna Gambe in spalla in tutta la loro forza. La rappresentazione della figura umana, l’espressività che si nutre e si rigenera nel mito, la terminologia musicale che spesso sottolinea l’intimo dinamismo della scultura. E l’Adagio si insinua fra le anfore della sala di Pescia romana (VI sec. a.C.), mentre Scherzo dialoga con i canopi di Chiusi e Atto Muto interagisce con le ceramiche ateniesi.
Gli uomini di Barni, uomini qualsiasi, anonimi, dispersi nella folla cittadina, le grandi sculture dell’artista che animano Firenze dal 25 giugno scorso, assumono nelle sale dell’Archeologico un’identità possente. I replicanti, prigionieri del pensiero reagiscono all’appiattimento e si apprestano “gambe in spalla” ad una nuova corsa verso la conoscenza.
Si vestono di pathos rappresentativo, accolgono lo stimolo antico di dar voce e corpo alla figura umana e sembrano sbalzare da fibule e armille. L’uso del rosso e dei riferimenti zoomorfi e fitomorfi li lega con Passione e Remar a quel sottile filo che percorre impercettibile tutta la storia dell’arte. Splendida la sala dove Sadovasomaso ossequia ed omaggia con le due figurine che si aggrappano in contrapposizione a un vaso cilindrico l’avvincente bellezza del Vaso François (570 a. C.).
Il colore, sempre rosso, torna nei disegni esposti nel corridoio tra il primo e secondo piano del Museo. Pochi ed essenziali tratti delineano volti e forme. Sottolineano e testimoniano l’importanza della pratica del disegno nel lavoro dell’artista.
L’ultimo evento della rassegna si aprirà sabato 29 settembre a Le Pagliere con l’esposizione di sculture e dipinti di grande formato e la presentazione del volume edito da Cambi Editore, con testi di Alberto Boatto, Lóránd Hegyi e Maurizio Vanni che documenta le opere installate nei vari luoghi scelti per l‘esposizione.
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