La diffusione dei temi ispirati al mito gerosolimitano, le implicazioni politiche e culturali, il tempestoso passaggio del Tasso a Firenze si trovano alla radice di una produzione artistica che ha avuto grande fortuna presso committenti e collezionisti fiorentini tra il XVI e il XVII secolo. Si tratta di un capitolo della storia dell’arte che ebbe, all’epoca, ampia risonanza e che oggi viene presentato al pubblico in un quadro che ne rivela tutte le profonde connessioni con la cultura del tempo.
L’epos di Goffredo, infatti, ha un ruolo fondamentale nel gioco politico che Ferdinando I, terzo Granduca di Toscana, conduce per dotare il casato mediceo di legittimazione dinastica. In questa prospettiva il matrimonio con Cristina di Lorena, pretesa discendente di Goffredo di Buglione, e le grandiose celebrazioni per le nozze assumono un preciso significato politico. Nello stesso modo va intesa la commissione per la decorazione ad affresco della Sala di Bona, affidata a Bernardino Poccetti che vi lavorò, sicuramente, tra il 1508 e il 1509. Sulle pareti di questo ambiente di rappresentanza, destinato ad accogliere ambasciatori e principi stranieri, vengono celebrate le vittorie di Prevèsa e Bona riportate dagli eserciti granducali contro il turco infedele. Gli ampi paesaggi sono popolati dai nemici in rotta sbaragliati dalle truppe cristiane, mentre sullo sfondo si distinguono le navi che portano il blasone dell’ordine di Santo Stefano. L’iconologia cui fa riferimento tutto il ciclo è chiaramente di ispirazione classica: dalla foggia romana delle corazze e degli elmi, al trionfo di Ferdinando, incoronato da una vittoria alata, mentre assiste al corteo dei prigionieri in catene.
I nobili e i cortigiani partecipano del medesimo entusiasmo per le ambientazioni del mondo cavalleresco, commissionando quadri di soggetto idilliaco e pastorale. All’esaltazione dei fatti d’arme si affianca, così, l’evocazione degli amori, rappresentata in mostra dalle tele esposte nell’adiacente Sala Bianca.
Fra i collezionisti più accaniti si distingue, nell’ambito della corte, il cardinale Carlo de’ Medici, che, nel 1624, commissiona una serie di circa venti opere la cui ispirazione va dai poemi di Ariosto e Tasso alle Metamorfosi ovidiane. La concomitanza di questi riferimenti letterari, apparentemente distanti, ha le sue ragioni nella visione critica del tempo che rintracciava affinità di struttura tra il poema di Ovidio e il romanzo moderno. La scelta dei soggetti ritratti è stata variamente interpretata in chiave simbolica.
Quasi tutti gli artisti sono di origine toscana: Giovan Battista Vanni, Lorenzo Lippi, Jacopo Vignali… alla opere di questi si aggiunge una tela raffinatissima e delicata: l’Incontro di Bradamante e Fiordispina attribuita a Guido Reni. Il quadro rientra nel ciclo voluto dal cardinale Carlo per la decorazione del Casino di San Marco. È probabile che il porporato volesse accrescere il lustro della propria collezione arricchendolo della firma di un artista famoso come il Reni.
È da segnalare il confronto con il bellissimo bronzetto di Ferdinando Tacca. Questi, nel trattare lo stesso episodio, ne coglie tutta la forza dinamica, concentrata nell’incontro degli sguardi dei due protagonisti.
Pietro Gaglianò
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Ma che meraviglia queste immagini. Ora mi leggo il tutto...
Non so perché, ma un turbamento mi assale. Anzi, lo so il perché: è la lunga, lunga attesa, che rende ogni frutto più dolce e saporito.
Una mostra imperdibile, credetemi