Il tanto atteso Soutif’s day è finalmente arrivato. L’inaugurazione del nuovo Centro per l’Arte Contemporanea di Prato, chiuso da nove mesi per lavori, si è rifatto il look; ridisegnate le sale del primo piano in modo che la luce proveniente dall’alto le possa illuminare pienamente, rinnovate le strumentazioni tecniche e creato un ampio spazio per le grandi mostre. E soprattutto trovata una nuova guida nel neodirettore Daniel Soutif.
Protagonista indiscusso della nuova stagione espositiva è l’attesissimo, e già molto discusso, artista belga Wim Delvoye. Una esaustiva antologica mette in luce l’audacia e l’originalità creativa del suo lavoro. Sempre sulla lama di un dualismo che, tra spregiudicatezza e tradizione, remette in scena copule spiazzanti, imprevedibili,
L’artista si appella ad un’opposizione tra principi assolutamente irriducibili, pervenendo ad una alterazione radicale del significato degli oggetti. Contrasto e antagonismo viaggiano paralleli nel suo dual feed, bisogno di doppio nutrimento da poli diversi siano essi temporali, spaziali, religiosi o abitualmente quotidiani. Miscela oggetti di uso comune come pale e badili smaltandoli finemente con emblemi di armi gentilizie nella serie Shovels, nobilitando i primi e smitizzando i secondi. Conferisce dignità a banali bombole di gas decorandole con motivi tipici della ceramica di Delft in Gas Cannister.
Dalle foto elaborate a computer, dalle radiografia di fellatio, alle vetrate a piombo raffiguranti scene kitsch-religiose, attraverso tatuaggi di icone universali e chiaramente simboliche su pelli di maiale, fino ai baci anali, a lettere d’amore scritte con bucce di patata, persino betoniere e camion di dimensioni reali impreziositi dalla struttura di pregiato tek finemente intagliato. Nella meticolosa cura che sottende alcuni di questi lavori, si legge anche un’ironica polemica verso quella parte di critica nicchiante che accusa l’arte contemporanea di eccessiva depauperante velocità di esecuzione.
Geniale e indimenticabile la serie degli X-Rays: rapporti orogenitali, amplessi di animali
Ultima, solo in ordine cronologico (è stata ripensata appositamente per questa mostra), la Cloaca Turbo, grande macchina computerizzata che, alla stregua dell’apparato digerente animale, trangugia cibo e produce in in tempo reale autentiche feci, metafora di un mondo onnivoro che tutto ingloba e fagocita senza ritegno.
Soutif interpreta l’opera come ”…una sorta di visione dell’inferno contemporaneo, in un mondo che ingurgita tutto e produce disordine, escremento, entropia. Una forma di riflessione profonda sull’umanità di oggi, sulla tecnologia e sui danni che produce”. L’autore ne dà anche un’altra lettura, in cui pessimismo e ottimismo si confondono e smitizzano la realtà: la vera distruzione avviene nella bocca e nello stomaco, la creazione si realizza in antitesi dall’ano, organo sì espulsivo di rifiuti organici, ma anche artefice e produttore. Se pur di merda.
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