Una ricca collettiva -che attraversa ottant’anni di storia dell’arte- riunisce artisti che durante la loro carriera si sono confrontati con i numeri. Un universo misterioso ma familiare: siamo sempre più circondati da numeri, ci contraddistinguono, sono la nostra identità.
Il punto di partenza è rappresentato dalle avanguardie storiche, con Numeri innamorati, opera di un Giacomo Balla che, passati i fasti del futurismo, introduce piani di rimando costruttivista per donare alle cifre una terza dimensione. L’allestimento, sobrio, non segue una linea cronologica, ma privilegia il rapporto tra le opere. Sia che si tratti di un dialogo amichevole che di uno scontro aperto. Il numero prima di tutto viene utilizzato per il suo valore formale ed estetico, semplicemente rappresentato, come in Seven di Robert Indiana, oppure studiato logicamente per creare rapporti perfetti (come in Micah Lexier).
C’è il video, con tre flux film di George Maciunas, nei quali l’unico atto è il contare. C’è la più classica delle pitture, un minuscolo olio di Osvaldo Licini. C’è poi un’incursione dal settore musicale, con il video di Numbers dei Kraftwerk, una canzone con un testo composto esclusivamente da numeri, e un video che fa altrettanto. C’è la fotografia con Generic Man di Jana Sterbak, un uomo di spalle con un codice a barre tatuato alla base della nuca, simbolo rischio di ogni uomo: la riduzione a numero. E poi c’è la riproduzione di uno studio di funzione, “rubato” da Bernar Venet direttamente da un libro di matematica. Un eccesso di rigore questo, ma forse anche una provocazione alle infinite interpretazioni che proliferano in arte: i numeri e la matematica sono, per forza di cose, oggettivi.
I numeri sono anche da sempre sinonimo dello scorrere del tempo, e strumento per quantificarlo. Di Darren Almond un orologio da stazione che scandisce i minuti con un rumore inquietante, che ha la funzione non solo di ricordare l’ora, ma anche il tempo che passa, e poi un orologio con i giorni della settimana, al quale sono stati eliminati i numeri, e quindi circoscritta la funzionalità. Non poteva mancare Roman Opalka, che da anni dipinge instancabilmente numeri progressivi in tele che misurano il vissuto, il “suo” tempo, con un dettaglio della sua monumentale opera 1965/ 1 – ∞.
Grande spazio è dedicato al gioco e all¡¯azzardo, rappresentati dal dado. Viene dipinto da Joe Tilson, con un numero che ironicamente contraddice quello scritto in parole; racchiuso in un cofanetto da gioielli da Cildo Meireles, paragonandolo ad un anello di fidanzamento per le implicazioni psicologiche che entrambi scatenano. E, ancora il dado viene unito da Stanislaw Drozdz a un’infinità di altri dadi per formare un quadro, o rivestire un’intera sala (come per la Biennale di Venezia del 2003).
Due opere adattate allo spazio delle Papesse sono quelle di Pistoletto e Merz. Michelangelo Pistoletto presenta il lavoro storico Le stanze, con tre ambienti consequenziali introdotti da tre orologi e tre date, in questo caso legate a Numerica.
Di Mario Merz viene riproposta La spirale appare, un’imponete installazione -che fisicamente attraversa quattro sale- fatta di fascine, pile di vecchi quotidiani e numeri in neon che seguono la immancabile serie di Fibonacci da sempre percorsa dal Re Leone dell’arte italiana. Ed è proprio la serie di Fibonacci a ricollegare i numeri con il mondo, il suo intercedere (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34…) in cui il numero successivo è la somma dei due precedenti, è la “regola” di crescita di moltissimi elementi naturali.
alessandra olivi
mostra visitata il 22 giugno 2007
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