Nell’anno 1445, a Firenze, fiorì Alessandro, chiamato all’uso nostro Sandro, e detto di Botticello (Vasari, Vite). Dopo gli insuccessi scolastici e un breve apprendistato come orafo entrò nella bottega di Filippo Lippi e pervenne tosto ad un grado che nessuno lo arebbe stimato. Inizia in questo modo la vicenda artistica del Botticelli, pittore amatissimo da Lorenzo il Magnifico, interprete tanto delle raffinatezze platoniche coltivate alla corte medicea, quanto della tormentata spiritualità di Savonarola e dei suoi Piagnoni.
Il suo allievo più celebre fu Filippino Lippi, nato dagli amori illeciti di fra Filippo e di Lucrezia Buti, religiosa anche lei.
La mostra di Palazzo Strozzi (che riprende e amplifica la fortunata esposizione parigina della scorsa stagione) dedicata ai due grandi maestri del Quattrocento supera tutte le aspettative e acquieta le polemiche. Il dialogo e il confronto tra le opere dei due maestri è emozionante per la qualità –e la rarità- dei pezzi esposti.
La mostra percorre i diversi ambiti tematici praticati dai due artisti (dalle allegorie alle Madonne, dal ritratto alla rappresentazione di storie sacre e profane) proponendo ogni volta accostamenti che mettono in luce le contiguità e le differenze tra Botticelli e Filippino e le evoluzioni tecniche e stilistiche dell’uno e dell’altro.
Negli scenari della Firenze laurenziana le ninfe, gli angeli e le Madonne di Botticelli transitano con un ritmo cadenzato da linee rigorose. Dalla Pallade (in mostra) agli affreschi della Sistina, dalle annunciazioni alle Madonne con Bambino, ogni gesto e ogni postura (spesso deliberatamente ignari di coerenza anatomica) descrivono uno stato emozionale e si piegano ad esprimere un’idea, con ispirazione umanistica e platonica, pura.
Ma mentre Botticelli incanta, Filippino (già irrimediabilmente stigmatizzato da Berenson come volgarizzatore dello stile lirico del maestro) trionfa per la capacità di staccarsi da stilemi compositivi collaudati e per l’ardita sperimentazione di nuove formule. Filippino è, in sostanza, più moderno e meno compiacente di Botticelli. È evidente nei ritratti (Ritratto di musico), dove Filippino punta ad una resa psicologica e somatica sconosciuta al maestro; è evidente, ancora, nell’uso sperimentale della prospettiva (Tondo Corsini), e nella disposizione delle figure. Questa arditezza -che gli valse gli attributi di anarchico e fuori legge da parte di un entusiasta Longhi- porta negli anni Filippino ad essere un concorrente temibile per Botticelli, tanto a Firenze quanto extramoenia.
In mostra si trovano pezzi mai visti in Italia, provenienti da collezioni private e da musei di tutto il mondo. Quasi alla vigilia dell’inaugurazione è stata aggiunta al catalogo anche la quarta tavola del ciclo di Nastagio degli Onesti, della Collezione Pucci, mai esposta in pubblico. L’opera, che fa parte di un ciclo di “spalliere” (in mostra anche il terzo episodio proveniente dal Prado dove si trovano i primi due) commissionate a Botticelli per le nozze tra Giannozzo Pucci e Lucrezia Bini, si ispira ad una novella del Decameron.
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pietro gaglianò
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