Il disegno di questo Festival della musica 2004 comprende due generi di appuntamenti: da un lato i concerti, che tra Arezzo e Firenze si svolgeranno sino al 16 dicembre, e dall’altro un convegno tra filosofi chiamati ad Arezzo dal coordinatore scientifico Francesco Solitario.
Il compito di riflettere sul rapporto tra il divino e la musica, il primo giorno, e tra il luminoso e le arti visive, il secondo, è stato infarcito di moltissime provocazioni. Due giornate d’intenso lavoro su L’arte di Dio, che, data la quantità e qualità dei temi affrontati e dagli spunti offerti, è stato in grado di suscitare trepidazione e di disseppellire questioni intime ormai dimenticate. Moltissimi sono stati gli input offerti dalle due fin troppo eccentriche guide: l’illustre musicologo Quirino Principe, turbatore di coscienza per sua stessa ammissione, e il critico d’arte Philippe Daverio, col compito di ribadire le sue scomode verità.
Chiaro che non ci sarebbe stato nessun tipo di accordo: poche certezze sulla definizione di ‘arte’ e ancora meno su quelle di sacro. Ciononostante il livello del dibattito è stato alto, e la questione se abbia ancora un senso parlare di “arte sacra” ha trovato una sua dignità, specie quando si è ammesso che le più grandi svolte e riforme della religione cattolica sono ancora tutte da risolvere! Alla luce di ciò, chiedersi se questo nostro mondo occidentale possa trovare un linguaggio per il sacro non è cosa da poco. Soprattutto quando si pone la questione se l’opera con finalità sacra perda qualità estetica per il solo fatto di essere nata da un artista contemporaneo. Se il sacro è ciò che sta al di là, un’opera ‘religiosa’ o in funzione di, può essere del tutto priva di sacralità, di ritualità o mistero? Se le speranze sono riposte nell’ispirazione senza funzione, è possibile pensare ad una sorta di epifania laica del sacro?
Se ne esce –forse- ancor più incapaci di trovare un raccordo tra la prima e la seconda seduta. Ormai il sacro è solo la distanza tra un bisogno che si sente e la nostra contingenza. Il funerale di Dio ha avuto bisogno di tutto il secolo, dunque era inevitabile che il dibattito s’incentrasse sulla non rappresentabilità, sulla nudità della voce come unico strumento possibile, sul silenzio e… sull’architettura.
Non si è parlato d’altro. Qualcuno in platea ha fatto riferimento a Anselm Kiefer, Marina Abramovic e Bill Viola, ma Daverio ha voluto domandarei se il sacro non si esprima in alcuni musei della nuova Berlino più che in quelle scelte amministrative locali che degli affreschi di Piero della Francesca adorano solo il costo del biglietto d’entrata. Come dargli torto?
matilde puleo
18 e 19 novembre 2004
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