Dall’Urban Planning Exibition Center di Shanghai, nel 2006, prende avvio il tour cinese di Omar Galliani (Montecchio Emilia, 1954). Un’avventura, iniziata nel 2003, quando l’artista partecipò alla prima Biennale di Pechino. Un lungo pellegrinaggio, durato un anno intero, in cui Galliani riscuote un grande successo, lasciando tracce profonde sul pubblico e sugli artisti incontrati. Al tempo stesso, l’artista emiliano si lascia compenetrare dallo spirito e dalla cultura orientale, assorbendone i suoni, gli odori e gli umori. Le opere nate in quest’ultimo arco di tempo, dunque, recano inopinabili impronte di questo percorso cinese, caratterizzate da sconfinati spazi interiori, da setose increspature intessute di simboli cristiani, buddhisti ed esoterici, riuniti in una visione panteistica del creato. La ritualità, con i suoi ritmi lenti e grandiosi, con le sue armonie sonore, di cui è profondamente permeato l’Oriente, -qui rappresentato concretamente dalla presenza di alcuni noti artisti cinesi- entra nell’opera di Galliani, costituendo l’ordito imprescindibile di questo percorso espositivo, venato da sotterranee alchimie.
Gli spazi della storica Fondazione Querini Stampalia, allestiti dall’architetto ticinese Mario Botta (Mendrisio, 1943) con un impiantito scuro di ov
Procedendo a passo lento, si dipana un metaforico sentiero luminoso, in cui le opere sono accostate le une alle altre. Un’armonia data da dualismo e ambivalenza. Come in Grande disegno italiano, del 2003, in cui dominano doppie simmetrie, verticali e orizzontali, date dalla contrapposizione di due corpi femminili. Uno, luminoso nella totale nudità, domina sovrano la volta stellata, e al tempo stesso sembra trionfare sull’altro, modulato da dense stratificazioni grigio-nero.
Anche Grande disegno siamese (2001), è imperniato su simbologie oppositive. Due teste femminili, si toccano quasi fondendosi. Al centro del disegno, due piccoli cerchi, incisi, si sovrappongono in maniera leggermente sfalsata, alludendo forse ad una perfezione duplice o alla ciclicità del tempo o alla ruota della legge impressa sul palmo della mano o sulla pianta dei piedi nell’iconografia del Buddha. Uno di questi volti è stato tessuto durante il vernissage dalle abilissime mani di ricamatrici cinesi con sorprendenti velocità e capacità pittoriche.
Un riferimento esplicito al buddhismo si ritrova in Mantra (2001), in cui il Gayatri Mantra, il più rappresentativo della tradizione Indù, è impresso nella parte alta di un fondo d’oro. L’invocazione a Brahman si riflette come in uno specchio nella parte bassa della tavola, ribadendo il valore simbolico della dualità. Questa tavola segnata da un’assialità orizzontale è completata da un altro pannello contrassegnato da un’opposta simmetria verticale. Essa è tracciata nel buio fitto della grafite, da cui emerge sotto forma di fascio di luce pulviscolare o come pioggia siderale interrotta dalla volteggiante fissità di una rosa. Rosa, il cui simbolismo -segretezza ma anche ragioni del cuore- fa da corollario a questo celebre mantra, pronunciato affinché il Sole dell’intelletto illumini e disperda le tenebre dell’ignoranza.
Quest’opera è accostata a One Poem of Tang Dinasty, del 2007, di Liu Dawei (Zhucheng, 1945), esempio di complessità, di forza d’animo e di espressività artistica, rese attraverso la calligrafia.
Un altro tipo di energia e di segno linguistico presentano le opere di Pan Lusheng (Han, 1962) in cui il dinamismo di una poderosa pennellata nera circonda un teschio rosso sangue di Galliani. In Santi (2006-2007) si coglie un interessante richiamo iconografico e semantico al Parsifal del 1890 del pittore esoterico Jean Delville, con cui Galliani sembra avere molti tratti in comune.
elvira d’angelo
mostra visitata il 14 giugno 2007
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