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fino al 9.I.2011 | Giorgio Morandi / Marco Tirelli | Venezia, Museo Fortuny

di - 29 Settembre 2010
Che cos’è il mondo visibile se non una selva intricata di
impressioni e sensazioni? Come discernere, nell’assordante frastuono della
contemporaneità, ciò che è reale da ciò che è illusorio? L’abitudine sopisce la
percezione, la capacità di comprendere ciò che va oltre la fenomenologia
apparente: l’essenza delle cose.

Ma ciò che un oggetto è non è poi così distante da come
appare, basta saperlo osservare. E la pittura può veramente aprire una finestra
sull’alterità della dimensione comune, sia essa fatta di oggetti o
architetture, svelandone, almeno in parte, quel senso intrinseco che trascende
l’impressione visiva.

L’accostamento tra due artisti come Tirelli e Morandi,
proposta dal nuovo allestimento di Palazzo Fortuny all’apertura della stagione,
propone dunque al visitatore un iter inedito e concettuale che lo porta a
superare i facili e immediati dogmatismi del mondo visibile per esplorare una
dimensione in cui ogni oggetto, seppur ritratto innumerevoli volte, appare
sempre diverso; ogni architettura diventa spazio irreale, sospeso, quasi
onirico.

È in questo che risiede quella “serialità artistica” di cui parlava Umberto Eco a
proposito di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964), pittore fenomenologo che per tutta
la vita indagò il medesimo soggetto e, su di esso, ogni possibile vibrazione di
luce e colore, rendendo le sue nature morte piccoli microcosmi apparentemente
simili ma, in realtà, profondamente cangianti.


L’allestimento, curato da Daniela Ferretti con la
collaborazione di Franco Calarotta, presenta un’accurata selezione di opere che
l’artista dipinse tra il 1921 e il 1963: piccole icone della quotidianità con i
quali il visitatore è chiamato a rapportarsi senza condizionamenti o filtri,
immerso in quello stesso silenzio che accompagnava l’artista all’interno del
suo studio.

Le tinte sabbiose, i riflessi di luce, le ombre spesso
appena accennate rendono gli oggetti dipinti presenze instabili, riflessi di
un’inquietudine che sfiora il metafisico. È una “poesia pittorica che
esteriorizza l’inafferrabile
”, sostiene Castor Seibe, una pittura che nel silenzio
contemplativo rivela la sua dimensione più nascosta e, dunque, più autentica.

È evidente come la metafisica morandiana, che a sua volta
è memore della lezione di de Chirico e Cézanne, ispiri la ricerca artistica di Marco Tirelli (Roma, 1956), pittore-filosofo
che, dopo aver abbandonato l’austero geometrismo della fine degli anni ’70,
giunge gradualmente alla definizione di “architetture” emozionali, visioni
sospese nelle quali il raffinato monocromatismo contribuisce ad accentuare il
carattere visionario e atemporale.


Le nature morte di Tirelli – aste, sfere, composizioni di
elementi curvilinei o rettangolari – si stagliano senza peso sullo sfondo scuro,
mentre la particolarissima tecnica pittorica, fatta di microscopiche
nebulizzazioni del colore, crea un sottile, quasi “cipriato” gioco di luci e
ombre.

Sono trasfigurazioni mentali della realtà, fantasmi
figurativi nei quali si confonde quella sottile linea di confine tra bidimensionalità
reale e tridimensionalità illusoria.

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dal 3 settembre 2010 al 9 gennaio 2011

Giorgio Morandi – Silenzi

a cura di Franco Calarotta e Daniela Ferretti

Marco Tirelli

Palazzo Fortuny

San Marco 3958
(Campo San Beneto) – 30124 Venezia

Orario: da
mercoledì a lunedì ore 10-18

Ingresso: intero
€ 9; ridotto € 6

Cataloghi
Skira

Info: tel. +39
0415200995; fax +39 0415223088;
mkt.musei@comune.venezia.it; www.museiciviciveneziani.it

[exibart]

Visualizza commenti

  • Per quanto riguarda Tirelli, la scelta delle opere non ha potuto evitare la cornice ammaliante di palazzo Fortuny e non ha preso in considerazione la svolta formale degli ultimissimi tempi dell'artista (attestata dal mercato ma anche dalle acquisizioni del MAXXI), che avrebbe dato un sapore più aggressivo e convincente (e nuovo) alla mostra.
    Intorno a Morandi, spiace dire che solo chi se ne occupa con conoscenza può pensare di impostare una piccola rassegna con calibro e qualità. La provenienza privata delle opere, di per sé non di certo un male, rende però povera la visione, mancando alcuni cardini dell'arte morandiana che segnano in modo evidente e efficace le sensibili evoluzioni (stilistiche e temporali) della poetica dell'artista.
    Un'opera in particolare suscita qualche perplessità attributiva (opinione del tutto personale).
    I contributi critici sono poveri e poco interessanti.
    L'iluminazione delle tele è del tutto impropria.
    Non è così semplice organizzare le mostre dei Grandi, confidando nel facile appeal sul pubblico.
    Il Fortuny - Museo dalle mille possibilità e sempre ricco di sorprese - ha bisogno di una direzione artistica più professionale e sicura, quando non è gestito dall'industriale belga di Artempo e Co.
    Meglio di tutto - in questo periodo - è l'ultimo piano, dove sono ospitate la rassegna dedicata alla fotografia di Campigotto (un vero fotografo!) e alle opere di Vigna fra le quali si individua uno sviluppo interessante della più recente ricerca.

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