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Venezia – 58° mostra internazionale d’arte cinematografica | L’anima venduta al diavolo

di - 31 Agosto 2001

Ne andiamo fieri, non c’è che dire, ma stare così vicino all’industria dei sogni fa un effetto straniante: sembra di vivere in un set, tutti comparse, tutti attori. Ogni persona è personaggio, ogni individuo vuole essere, nel suo piccolo, protagonista: così si sfoggiano pass, si crea una strana gerarchia psicologica determinata dal colore del cartellino che porti appeso al collo e della copertina del programma che hai in mano: giallo, verde, come all’asilo anche qui ognuno appartiene ad una classe. Quando poi carpisci brani di conversazioni, o vedi questi omoni o queste gran signore aggirarsi per gli stand, i padiglioni, per le sale come se fossero a casa propria allora, quasi, ti viene da chiederti: ma che ci faccio io qui? Quale è il mio ruolo, che potrò mai raccontare di così diverso, nuovo, interessante? Non lo so, ho dei dubbi: esserci o non esserci? Partecipare o preferire l’assenteismo dalla mondanità in generale, dai falsi ruoli che attribuisce, dal ruolo che, inevitabilmente, l’essere dentro un evento come questo impone? Difficile non farsi prendere dal gioco, difficile non atteggiarsi. Tutti guardano e tutti sono guardati nel supermegashow che, involontariamente e, perché no, forse giustamente, alimentiamo ogni giorno.
Ho visto diversi film in questi giorni, sei per l’esattezza, e sono giunta alla conclusione che sino ad ora ho visto solo pellicole che mettono in scena, è il caso di dirlo, l’assurdità, la crudeltà, della vita e il vuoto in cui oggi sembriamo voler recitare. Dust, L’amore probabilmente, Aqua e sal, Le souffle, Quem és tu?Women in film: ne parlerò in modo più approfondito più avanti, ma in generale ho rilevato una recitazione di gran livello, con alcune rivelazioni, una qualità tecnica elevatissima (a volte sperimentale come nel film di Bertolucci), con una cura quasi maniacale della qualità delle immagini, della fotografia, con una grande attenzione all’uso della luce, dei colori, una particolare ricerca nelle ambientazioni, splendide e affascinanti. Le storie sono, però, ( e non è un giudizio qualitativo bensì una constatazione) allucinanti: storie di amori finiti, di solitudini, di impossibilità di comunicare e di cambiare le cose, di vite e vicende che si intrecciano per poi sciogliersi di nuovo. Qualche incontro si risolve positivamente, in parte e mai del tutto, ma dominano immobilismi, mutismi, pianti, malesseri, violenza e sangue. Non c’è alcuna gioia in queste storia, se non fuggevole e passeggera come una nuvola in cielo. Non pare esservi speranza ma solo la constatazione di una condizione umana, quella odierna, fatta di distanze impossibili da colmare, di dolorosi ma volontari egoismi, di ragionevoli rinunce ai compromessi. E’ difficile specchiarsi in queste storie senza soffrire per quello che siamo e stiamo diventando, impossibile non chiedersi qual è il senso della vita di ognuno di noi. Durante la proiezione, a volte, manca il fiato: l’amore è un sentimento che non esiste più, o che diventa morboso, o che porta alla morte, come nella splendida, teatrale ed epica tragedia Quem és tu? Cosa abbiamo fatto per meritarci questo, abbiamo rinunciato ai sogni, ai sentimenti, alle speranze per concentrare ogni nostra attenzione sui noi stessi, per essere i soli, solitari protagonisti della nostra vita? Forse abbiamo venduto l’anima al diavolo.

Francesca Pagnoncelli

[exibart]

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  • un piccolo commento da semplice appassionato: molto stimolanti le considerazioni della redattrice dell'articolo. E' importante - secondo me - che al cinema sia dedicato questo spazio. grazie

  • Per Marco, hai ragione quando dici che il film di Bertolucci è un luogo via l'altro. L'articolo però non parla solo di questo film!
    se possibile lo approfondirò volentieri!
    a presto

  • (L'amore probabilmente) luoghi, scenari o protagonisti? Lucca Roma Lugano, piazze portici giardini, niente di inutile ... ma anche gli studi, il teatro sono luoghi ... dove sono?

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