Categorie: altrecittà

Fino al 24.X.2015 | Vedovamazzei | Certosa di San Giacomo, Capri

di - 14 Ottobre 2015
Il Futurismo, La Rivoluzione iraniana, la guerra in Bosnia-Erzegovina, i tradimenti degli ideali europeisti, il voyeurismo e l’oscenità del potere, i nuovi blocchi contrapposti. Circa un secolo di persone, avvenimenti e concetti è passato per Capri, in occasione della mostra di Vedovamazzei, fermandosi sul pianoro verdeggiante dove si erge la Certosa di San Giacomo, a strapiombo sul mare affollato di barche e di fronte ai ruvidi faraglioni, delizia degli album delle vacanze, lo scorcio “più bello e delizioso” dell’isola, come scrisse l’Abbé de Saint Non.
La mostra – a cura di Gianluca Riccio e con il matronato del MADRE – è stata organizzata dall’associazione Il Rosaio, impegnata nella riscoperta delle tradizioni e nella promozione del ruolo culturale dell’isola, eletta luogo di incontro e di riparo da intellettuali e artisti, da Jean-Luc Godard a Curzio Malaparte, da Maksim Gor’kij a Pablo Neruda. L’esposizione insiste su un ritmo di sovrapposizione tra l’elaborazione del racconto storico e la suggestione dei motivi del quotidiano, proponendo quella pratica del cortocircuito dei codici che il duo artistico fondato da Simeone Crispino e Stella Scala persegue con rigore fin dagli esordi. A partire dalla scelta di un nome collettivo così opaco, preso da una targa trovata per strada, a Napoli, nei primi anni ’90.
Questa antologia del Secolo Breve inizia con un ambiguo momento di crisi, prendendo le mosse dall’antibagno della Certosa. Il duo è intervenuto sulle pareti della sala dei servizi igienici, ricoprendole con maioliche realizzate secondo una tradizione tipica dell’artigianato caprese. Due elementi visivamente contrapposti, una sobria villetta circondata da un paesaggio rurale, The most visited place ever, e una scritta veloce, dagli incerti tratti neri, UN United Nothing, sono disegnati su queste maioliche che, diventate superficie significante e autonoma, falsificano la relazione con lo spazio. La casa, anonima nell’aspetto e ripetuta ossessivamente sulle piastrelle come nella serialità di un souvenir, è quella che Ruḥollah Khomeini abitò durante l’esilio a Parigi, diventando uno dei luoghi più visitati al mondo. In particolare, dagli intellettuali schierati a sinistra che, nell’ayatollah, la guida della Rivoluzione in Iran, vedevano la profezia di «una grande insurrezione contro i sistemi planetari, la forma più folle e più moderna di rivolta», scrisse Michel Foucault, in un reportage sul Corriere della Sera del 26 novembre 1978.

Anche la frase UN United Nothing, pur grafologicamente simile a tutti i messaggi che si trovano nei bagni pubblici, è tutt’altro da un segno improvvisato, nascondendo, oltre la superficie delle lettere, uno degli episodi più brutali della Guerra in Bosnia ed Erzegovina. Questa scritta, tracciata da un soldato del contingente olandese dell’ONU di stanza a Potocari, a sei chilometri da Srebrenica, venne ripresa da tutti i media dell’epoca, diventando una scabrosa epigrafe della violenza, l’emblema dell’assedio della città bosniaca e del massacro di più di 8.000 persone, crimini perpetrati dalle truppe guidate dal folle Ratko Mladić, nel luglio del 1995. Un genocidio la cui responsabilità oggettiva ricadde sull’incompetenza, o sulla connivenza, delle Nazioni Unite, che avevano istituito una fascia di protezione proprio in quella zona. Responsabilità cui è stato chiamato a rispondere, con tutte le strumentalizzazioni e i fraintesi del caso, anche Michel Foucault, una volta rivelatosi il carattere distopico della Rivoluzione iraniana.
Così, lo spazio ricoperto di segni diventa una scenografia iper-estesa che nasconde l’opera nel supporto. In questa apertura del linguaggio, l’ironia del quotidiano e l’alienazione della tragedia si distendono come due codici interpretativi indistricabili. L’evento, cadendo nel flusso dell’hic et nunc, non si isola nella cronaca del banale ma diventa un momento critico nel mosaico degli intricati processi storici.
Nelle altre opere, esposte nel chiostro piccolo della Certosa, questo tabù dell’atroce si amplifica verso lo spettacolo dell’osceno. Su un cappello da capitano di nave è disegnato il ritratto di due persone, le cui sembianze ricordano quelle dei presidenti degli Stati Uniti e della Russia, che si esibiscono in un incontro omoerotico dagli spiccati accenti arcadici, come nelle fotografie di Wilhelm Von Gloeden. Un lascivo souvenir del contemporaneo, in cui i consueti blocchi contrapposti si incontrano in uno scandalo effimero. In Pretend you are actually alive, i livelli di lettura si sovrappongono indistricabilmente e l’opera rivela la sua natura di pastiche visivo. Su una lastra orizzontale di cemento è inciso una sorta di piccolo imbuto, un riferimento a una famosa fotografia del 1917, scattata sull’isola, che ritrae Fortunato Depero e Gilbert Clavel impegnati nella mimica farsesca dei Balletti plastici. La linea dell’imbuto continua fino a comporre uno striscione, sul quale è tracciato il titolo all’opera. Separato da questa composizione, isolato in un angolo della lastra, c’è un modellino di una tipica abitazione caprese, realizzato con sterco essiccato. In We pimp hard movie, la contemporaneità assume la forma di un voyeurismo di attesa. Un immaginario film pornografico è scomposto in una serie di tre disegni: i titoli di apertura, la facciata di un palazzo illuminata dal sole e animata da due finestre, l’identica facciata ma di notte. L’affermazione esplicita delle parole viene messa in discussione dalla serrata destrutturazione del campo visivo, la percezione dell’avvenimento osceno affronta un rifiuto. La storia annunciata si può solo immaginare come una congiunzione arbitraria tra alcuni elementi. Qualcosa di sussurrato avviene fuori dalla scena, di là dalla cornice della rappresentazione, come un elemento di vitalità quotidiana che, cercando riparo dal terrore del tempo, afferma la sua grottesca purezza.
Mario Francesco Simeone
mostra visitata il 12 settembre 2015
Dal 12 settembre al 24 ottobre 2015
Vedovamazzei, Certosa di San Giacomo
Via Certosa, 1 – 80073, Capri
Orari: dalle 9.00 alle 14.00; dalle 17.00 alle 20.00. Chiuso il lunedì
Info: 081 19313016 – info@madrenapoli.it

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