Nel lavoro di Loveday si presenta mettendo in scena
atmosfere oniriche di un artificio ostentato. Il bianco e il nero, le luci e le
ombre, il maschile e il femminile danno vita all’ambiguità del doppio come
quello che si mostra nel sogno. Un paese delle meraviglie a tinte fosche che
insiste sulle ombre, sul contrasto della pelle nera e del bianco sacrale degli
abiti.
La fotografia diventa un’espiazione, l’attraversamento
di traumi ricomposti in immagini di seducente perfezione. “Per me la fotografia è un modo per smettere di soffrire”, una
seduzione che emana dal di dentro, da quello che nel mondo resta inespresso:
emozioni, sentimenti, inconscio che si trasformano nell’invocazione Help Me I’m In Hell, titolo della serie
esposta. Una fiaba letta da ibridi personaggi con la testa da pupazzo, che
riemergono da un mondo infantile ricordando Paul Mc Carthy. È la dimensione del sacro a rendere unico il
linguaggio fotografico di Loveday: i suoi ritratti-simulacri salvano il corpo
dalla mercificazione a cui è soggetto nella nostra società.
Violando il limite della ragione, “l’inconscio seduce con i suoi sogni, seduce
con il suo concetto, seduce sin nel momento in cui qualcosa parla e ha voglia
di parlare”, scrive ancora Baudrillard. Ambienti e costumi rimandano a una
ritualità non rassicurante, che invoca un processo di salvezza dal regno
dell’Inferno fatto di paure che vivono nel regno complesso della femminilità,
tra sacro e profano.
Le ombre, invece, scompaiono nella serie dedicata alla
Sardegna, One di Luca Spano,
fotografo-antropologo. Si tratta di paesaggi che sembrano ripresi tutti con la
stessa luce. Metà parte della fotografia è occupata dal cielo e il punto di
osservazione appare sospeso sull’orizzonte, dove chiaramente si congiungono, a
volte attraverso una scala di grigi, il cielo e la terra. Solo, ogni tanto,
qualche nota coloristica rappresentata da mattoni, muri, piante, ombrelloni.
Una luce cristallina opera per processo di riduzione sul paesaggio deserto in cui
è nulla la presenza umana. I ponti e alcune visioni dei luoghi ricordano le
fotografie di Elger Esser ma lo
sguardo appare molto più lucido e meno romantico. È una scarnificazione del
paesaggio ridotto ai suoi segni essenziali attraverso la luce, fin quasi a
giungere all’astrazione in un succedersi di linee orizzontali parallele.
Al primo piano succede immediatamente lo sfondo, che
così appare talmente lontano da sembrare irraggiungibile. Ci si perde in
lontananze che non si riescono ad afferrare.
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Angela
Loveday al Premio Celeste 2009
antonella palladino
mostra visitata il 5 gennaio 2011
dal 18 dicembre 2010 al
28 febbraio 2011
Luca Spano e Angela Loveday
a cura di Simona Cresci
Paolo Erbetta Arte Contemporanea
Via IV novembre, 2 – 71100 Foggia
Orario: da lunedì a sabato ore 11-13 e 17-20.30; mercoledì e giovedì su
appuntamento
Ingresso libero
Catalogo disponibile
Info: tel. +39 0881723493; info@galleriapaoloerbetta.it; www.galleriapaoloerbetta.it
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