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Terravecchia 2015. L’uomo, la tradizione, il territorio | Frasso Telesino

di - 20 Giugno 2015
Dalla balconata panoramica del viale alberato che porta alla piazza centrale di Frasso Telesino, si riesce a vedere tutto il Vallone di Prata, una distesa ondulata dalle anse del fiume Volturno, da campi coltivati, viti, olivi e boschi. Il massiccio calcareo del Taburno Camposauro incombe proprio alle spalle e, con le cime dei monti Sant’Angelo, Cardito e Serra del Ceraso, crea un confine verticale di nuda roccia che interrompe bruscamente la dilatazione percettiva. Tra le case e le strade comprese in questa vertiginosa confluenza delle dimensioni, si incontra una fitta sequenza di murales sbiaditi, tracce innestate, quasi nascoste, nell’atmosfera appartata del paese.
Terravecchia, la storica kermesse dedicata all’arte pubblica e organizzata da Marisa Vescovo tra il 1983 e il 1987, prende il nome dalla più antica zona abitata del Comune in provincia di Benevento. A quelle prime edizioni parteciparono, tra gli altri, Roberto Barni, Louise Bec, Omar Galliani, Francois Lamore, Thomas Lange, Serse Roma, che realizzarono sculture e murales diffusi tra gli stretti vicoli di pietra della zona storica. Nel 1985, in particolare, collaborarono anche lo scrittore e critico d’arte Gérard-Georges Lemaiere, attualmente docente all’Accademia di Belle Arti di Brera, e Jean Digne che, in quegli anni, era direttore dell’Istituto Francese Grenoble di Napoli. Proprio Digne, poco dopo, tra il 1988 e il 1990, avrebbe ospitato, nella città partenopea, Ernest Pignon-Ernest, considerato uno degli antesignani della Street Art. Così, si scopre che proprio nel momento topico della diffusione del Graffitismo – il primo movimento artistico del villaggio globale fu analizzato con lucidità nelle ricerche di Francesca Alinovi e la mostra Arte di frontiera. New York Graffiti si tenne nel 1984, a Bologna – un piccolo comune dell’entroterra sannita poteva organizzare una manifestazione interamente dedicata all’arte fruibile per strada, esposta alla rielaborazione della quotidianità e degli agenti atmosferici.
In questa storia, i termini ritornano, formando un circuito di immagini e concetti, perché l’intervento ambientale, inteso come dispositivo di relazione con il tessuto urbano e antropologico del luogo, è rimasto una costante anche nel nuovo corso, iniziato nel 2014 e curato da Davide Sarchioni che, per questa seconda edizione, propone tre nuclei di ricerca: l’uomo, la tradizione, il territorio. Daniela Conte, Christian Leperino e H.H. Lim, insieme al nutrito gruppo di writer coordinati da Carmine Foschini, sono stati chiamati a riflettere su queste connessioni, interpretandole come grandezze variabili, un agile canone di espressione per formare un unicum percettivo, un percorso di distensione estetica ed etica diffuso nell’architettura sociale e nella stratificazione del territorio. Se i murales si rifanno all’immaginario formale metropolitano, le opere dei tre artisti se ne distaccano. Mancando il supporto rappresentativo della città, sfondo imprescindibile per la poetica dissacrante tipica della Street Art, Conte, Lim e Leperino hanno preferito una modalità leggera di intervento, mimetizzando il movimento delle materie nei ritmi del paesaggio.

Gruppi di ragazzini osservano gli artisti muoversi sulle alte impalcature, maneggiando bombolette e rulli intrisi di pigmento che cola. Affascinati dalle linee intricate del lettering wild style e dai grandi puppets colorati, molti dei quali riferiti al folklore frassinese, si avvicinano ai writer, seguendo ogni istante del loro lavoro. Secondo Sarchioni, «Questi sono i momenti più significativi», perché la base dell’operazione è attivare un rapporto non solo diretto verso l’opera finita, ma anche centrato sul processo realizzativo, convogliando l’interesse e la partecipazione su tutte le fasi, dalla progettazione all’allestimento.
«Ho voluto organizzare un workshop nella scuola elementare di Frasso Telesino perché mi piaceva l’idea di riportare l’attenzione dei bambini sulla manipolazione della materia», dice Leperino, che ha fatto della pratica condivisa uno snodo fondamentale della sua ricerca. La sua installazione è un serpente che, mordendosi la coda, forma un ampio e sottile cerchio di metallo, rappresentazione dell’uroboro, immagine metaforica dei cicli naturali, della coincidenza tra la vita e la morte, oltre che simbolo di Terravecchia. In un suggestivo gioco di sovrapposizioni tra segni, la struttura di acciaio rivestito è posizionata accanto all’orologio pubblico sul tetto del Municipio, effigie della scansione cronologica normalizzata. Tale geometria mistica si apre alla volta del cielo, ritagliandone una porzione e orientando l’angolo dello sconfinamento ottico, «simile a una porta stellare», spiega Sarchioni.
Conte, invece, è intervenuta negli spazi interni dell’edificio municipale, in una posizione di soglia, tra l’ingresso e la rampa di scale che sale al primo piano, direttamente su muro. Incrociando le strutture narrative del ricordo personale, della storiografia e delle leggende, «Ho trattato la superficie murale come un qualsiasi altro supporto, dove intervenire e sconfinare, sollecitata dal tema della manifestazione, dal dialogo con l’emblema della catapulta sannitica, dalle sinergie con il luogo», chiarisce l’artista. Le linee dinamiche di Tormenta, comprese tra il profilo oscuro della sagoma di un cavaliere sannita, i meccanismi scultorei di una storica balestra d’assedio e i brandelli di memoria racchiusi in istantanee non più riconoscibili, si diffondono nell’ambiente raccolto, inscenando una mitologia visiva che si accosta al rituale del racconto orale.
Le parole delle origini, incise nella materia, sono la semantica di Peso oro. «Mi emoziona il rapporto della gente con i simboli della propria terra», dice Lim, la cui installazione, composta da due imponenti pietre sovrapposte, ricavate dai massicci della zona, si inserisce nel passeggio panoramico di Frasso Telesino, segnando un confine tra la distesa della vallata e la verticale delle cime. Un memento monolitico dell’atto fondativo, del riconoscimento della comunità, scevro, però, dall’estetizzazione degli esiti monumentali. I due blocchi non si toccano, separati da un sottile strato di vuoto creato da lingotti di bronzo dorato interposti tra le pietre, suggerendo una paradossale leggerezza delle forme che si riflette anche nell’ubicazione, in una zona di movimento e decentrata sull’ampio marciapiede, come seguendo una direzione di casualità.
Mario Francesco Simeone
Terravecchia 2015. L’uomo, la tradizione, il territorio
Frasso Telesino, (BN), 82030
Info: www.associazioneculturaleterravecchia.it

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