Non distante dalla moderna città di Al-Shatrah, nel sud dell’Iraq, un team internazionale di archeologi ha scoperto una grande taverna completa di tutti gli arredi e gli strumenti necessari. Tra i reperti, panchine, un’antica cella frigorifera fatta di argilla e chiamata “zeer”, un forno e vari contenitori, alcuni dei quali contenevano ancora cibo. Sembra tutto bloccato nel tempo, un po’ come a Pompei: in questo caso non ci fu un’eruzione ma la scoperta è stata fatta in un’area di grande densità storica, precisamente nell’area di Lagash, uno dei più grandi siti archeologici di quella che, un tempo, era la Mesopotamia.
E in effetti un po’ di Italia c’è: la squadra di ricerca è infatti composta da studiosi dell’Università della Pennsylvania e dell’Università di Pisa, che hanno utilizzato metodologie e tecnologie di ricerca e scavo ad alta tecnologia, tra cui fotografie scattate con drone, imaging termico e il cosiddetto campionamento micro-stratigrafico, un tipo di scavo chirurgicamente preciso. Secondo Holly Pittman, archeologa e direttrice del progetto di scavo a Lagash, la taverna dovrebbe risalire al 2700 a.C. circa e la struttura era simile a quella odierna, con una parte all’aperto e un’altra consistente nella cucina.
La scoperta è stata condotta con quello che il project manager Zaid Alrawi descrive come un approccio moderno allo scavo. «Non è come l’archeologia dei vecchi tempi in Iraq», ha detto a Penn Today, la rivista scientifica dell’Università della Pennsylvania. «Non andiamo dietro a grandi tumuli aspettandoci di trovare un vecchio tempio. Usiamo le nostre tecniche e poi, in base alla priorità scientifica, perseguiamo ciò che pensiamo possa produrre informazioni importanti per colmare le lacune di conoscenza nel campo».
Tra questi metodi avanzati, la tecnica microstratigrafica, che prevede sondaggi profondi circa 50 centimetri su un’ampia porzione di terreno, una pratica che Holly Pittman ha descritto come simile a un intervento chirurgico molto accurato. In precedenti cicli di scavo, i ricercatori hanno scoperto che Lagash, che era composta da tre insediamenti, Girsu, Lagash e Niĝin, non era solo un centro di attività politiche e religiose, ma anche un importante centro abitato, con persone dedite a una produzione intensiva di artigianato.
Le immagini dei droni e la magnetometria, che registra l’intensità magnetica delle zone sotterranee, hanno rivelato il layout del sito di Lagash e hanno portato i ricercatori a scoprire sei forni per ceramica con fosse ovali fatte di mattoni di fango cotti. Dopo una breve pausa dovuta alla pandemia, gli scavi sono ripresi nel 2022 e sono stati scoperti altri cinque forni. Insomma, ogni scoperta a Lagash è utile per mettere a fuoco nuovi dettagli sugli stili di vita e sulle cultura delle persone che vivevano nell’antica Mesopotamia meridionale.
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