Categorie: Architettura

architettura | Archistars. Individualisti e sublimati

di - 27 Agosto 2007

Sperimentazioni avveniristiche, forme scultoree, strutture totemiche modellate dal vento e algoritmi tramutati in edifici supergriffati, ricerca dell’innovazione dei materiali, uso di cromia neutra e quasi inconsistente: non è forse un elenco abbastanza verosimile delle caratteristiche ricorrenti dell’attuale produzione architettonica contemporanea? E lo “stile”? Esiste oggi una grammatica compositiva, riconoscibile e condivisa capace di connotarsi come caratterizzante l’epoca?
L’architettura dell’ultimo decennio offre uno spunto di riflessione particolarmente interessante sul fatto, non abbastanza ovvio, che probabilmente non esiste un segno stilistico capace di governare l’architettura contemporanea, soggetta alla condivisone di forme e di concetti afferenti ad una “scuola” di riferimento. Le Archistars propongono il proprio particolare stile progettuale, insistono nella inesausta ricerca di una personale identità compositiva, riconoscibile, in evoluzione. Palesemente portatrice di una matrice individuale, capace di ricondurre chiaramente all’esperienza di una singola cellula professionale. Soprattutto quando approdano a qualcosa in grado di distinguerli pubblicitariamente esauriscono qualsiasi progressione per mantenere il loro prodotto vendibile presso una committenza che non ricerca necessariamente bellezza o intelligenza ma solo riconoscibilità e firme parafulmini. Dunque assenza assoluta di valori architettonici codificati, potremmo dire in senso accademico.
Quando si osserva, anche a distanza di tempo, una qualsiasi architettura di Leon Battista Alberti, risulta evidente come il segno predominante sia dato dalla declinazione referenziale del canone classico rivisitato in chiave rinascimentale. Ogni elemento compositivo concorre a rimarcare l’adesione dell’architetto con la temperie culturale acclarata e assolutamente condivisa dalla comunità coeva. Quando si osserva una qualsiasi architettura di Frank O’ Gehry o di Zaha Hadid, non è possibile ricondurla a nessun temperie culturale se non a quella che lo stesso architetto porta avanti singolarmente. Ma perché?
Si può ipotizzare innanzi tutto una molteplicità di cause subordinate a fattori di ordine sociale e anche culturale. Innanzi tutto la committenza, monopolio di entità multimilionarie, molto spesso statali o lobbies economiche, ricerca ancora nell’architettura un segno tangibile di autodeterminazione sociale, affidando appunto alla manifestazione esteriore la propria potenza e autorità.
L’archistar recepisce questo potere tramutandolo in smania di stupire attraverso forme audaci, attraverso la ricerca di originalità tridimensionale, attraverso la scelta di materiali tecnologici e insoliti. Attraverso, soprattutto, l’utilizzo delle potenzialità progettuali offerte dal software e dalle sue applicazioni nel digitale. E proprio in questo probabilmente si condensa una parte interessante della vera ragione di un segno architettonico che sfugge alla determinazione. La tecnologia ha un tipo di evoluzione talmente veloce e iper-innovativa che non si è in grado di fissare come paradigmatica una “funzione”, una “forma”: appena elaborata, essa è già passibile di nuove evoluzioni. Senza confondere ovviamente il formalismo con lo stile.
Il linguaggio contemporaneo si modifica continuamente e l’architettura non sfugge a questa regola che le impone una ricerca di forme fluide, cangianti e capaci di adattarsi alla richiesta insistente di una modernità concettuale, talvolta sfrenata. Peggio se svuotata di contenuto e di sostanza (specie nell’ottica della concreta fruizione dello spazio), e ancor più consegnata -come ormai tutto- all’immagine esteriore: un oggetto esiste solo se stupisce, se diventa un must.
La genialità compositiva è sacrificata all’apparenza. Resta pur sempre genialità, ma quanto ci sia di speculazione intellettuale, teorica e concettuale, oltre che di volontà realmente utilitaristica, resta un dubbio. Fiorisce un’architettura forse troppo bella per essere vera, distratta rispetto al crescente bisogno di ambienti vivibili, visivamente puri, rispettati nel loro microcosmo più intimo e intrinseco.
L’architettura delle archistars è arte, è scultura, è architettura di luce, di impatto, è macroscopico concentrato di tecnologia costruttiva e di design. Nulla di male, se solo non si perdesse di vista il fatto che l’Architettura è essenzialmente pensata per l’uomo.
Esiste perché si possa modificare lo spazio urbano come elemento da determinare, da modellare, da riempire e plasmare attraverso forme, linee e segni. Embrioni elementari di una disciplina che è bellezza (ovvio) ma anche e soprattutto, capacità di dominare, secondo razionalità, la disarmante elementarità di cui essa stessa è composta. Senza violentarla, senza conferirle con troppa insistenza valori che non le appartengono.
Appare evidente che il centro della progettazione debba essere il comportamento delle persone e le esperienze proposte.

Ad esempio la filosofia dello studio SANAA, Sejima e Nishizawa, non si preoccupa in senso preliminare di formalizzare la propria firma consapevole del fatto che anche in applicazioni proporzionalmente ridottissime avrebbe sempre trovato il modo di essere riconoscibile attraverso la bellezza oggettiva.
Zaha Hadid invece inizia dalla firma (formalistica) non ponendosi problemi di realizzabilità, economicità, esperienze dei visitatori. Allora oggi si passeggia per le suite del suo mega-museo ancora in cantiere e tutti pensano solo una cosa – e non la dicono: sono strette!
La risposta, se mai possibile, sta forse proprio in questa semplice riflessione. Il dubbio, quello, resta sempre…

agata polizzi

[exibart]


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  • mi pare che si scambi certi eccessi con il fondamento del lavoro di questi architetti che ovviamente ha declinazioni e risultati diversi a seconda dell'occasione. Non che non ci sia un problema di spettacolarizzazione eccetera ma dire che le loro architetture sono svincolate da una riflessione sui tempi odierni
    è davvero arduo dato che più di qualcuno (Derrida? Vidler? vedi le teorizzazioni di Einsemann? e scusate se non ho il tempo di stilarvi una bibliografia meno improvvisata) le ha ritenute addirittura emblematiche degli stessi ma non in senso necessariamente negativo (Al modo del "grillo parlante" Gregotti che senza contraddittorio dalle pagine di "Repubblica"sparla di tutti ): ovviamente se qualcuno rimpiange un mondo coeso di valori e certezze può ritenere che una concezione deflagrata del mondo non sia una concezione e quindi si può anche fare un esempio riguardante i bei tempi del Rinascimento ma mi pare che si caschi nel ridicolo. Per discutere qualcuno che comunque è entrato nella storia dell'architettura forse bisognerebbe dotarsi prima di un buon bagaglio di conoscenze e letture e magari pure utilizzare la circospezione di un Hal Foster che ha detto cose simili ma con l'intelligenza di chi sa discriminare tra differenti componenti dell'argomento

  • grazie marco per la bibliografia, i consigli illuminanti, le puntualizzazioni e magari anche per la dovizia di riferimenti che dai.
    Tu si che hai un certo bagaglio di cocnoscenze. Lo abbiamo visto.
    Ma vedi, questa voleva essere una riflessione e non una "lezione" e meno che mai una levata di scudi contro la contemporaneità e quanti sono certamente figure capitali della storia dell'architettura,come bene tu dici.
    Ma poichè a quanto pare siamo in un paese libero, per fortuna,
    io ho la possibilità di dire cosa osservo riguardo alle attuali tendenze dell'architettura contemporanea,
    e tu di replicare, ciascuno a suo modo. Nessuno dei due punti di vista è giusto o sbagliato. Se non l'hai capito.
    Questo è un network culturale, rivolto a tutti, a quanti sanno già e a quanti hanno voglia di cercare spunti e nuovi ambiti di concoscenza.
    Le "Lezioni", con conseguenti rimandi che magari prima o poi per tua serenità controlleremo, lasciamo che avvengano in un contesto come dire più "Accademico".
    agata

  • cara Agata
    non volevo assolutamente darti lezioni, anche perchè non sono un esperto di architettura come sicuramente neppure tu sei ; quello che hai scritto mi è sembrato un pò "tirato via" e mi sono limitato a buttarti lì alla svelta i primi tra i nomi che le mie conoscenze dilettantistiche mi hanno fatto venire in mente; un esperto più navigato di me ti avrebbe mandato una lista ben più corposa e imbarazzante.
    Fare una critica non è voler dare una lezione a qualcuno ma sollevare delle obiezioni sul specifico alle quali comunque tu non rispondi.
    Se hai bisogno di controllare controlla pure le mie "fonti " e vedrai che non erano un elenco ostentato per vantare chissà quali conoscenze ma degli esempi precisi che credo smentiscano abbastanza bene quanto hai detto.
    Se poi tu ritieni che scrivere articoli in un modo più approfondito sia una cosa da "accademici " permettimi di dissentire decisamente e ti invito invece a essere più severa con te stessa e a studiare studiare e studiare perchè nel campo della stampa d'arte di superficialità ne gira già abbastanza. A differenza di altre riviste dove qualcuno si permette di scrivere quello che gli pare senza timore di smentita nel sito di exibart le cose sono diverse e c'è la possibilità di una "collaborazione costruttiva"......

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