Il simbolo per eccellenza dell’identità milanese si svela nella genesi della sua forma: l’infinito protrarsi nel tempo di questo cantiere è il teatro in cui si dipanano i temi legati alla facciata tanto che, quella che vediamo oggi, è il risultato di una sintesi fatta di vischiosità storiche, di sintesi, di memoria e di attenta lettura dell’origine gotica della cattedrale.
Una mostra affascinante quindi, in primis per la rara bellezza dei disegni originali di Vincenzo Seregni, Francesco Maria Richini, Francesco Castelli: queste ed altre sono le personalità con cui la Fabbrica
Il Duomo di Milano viene edificato alla fine del ‘300 per volontà di Gian Galeazzo Visconti in forme dichiaratamente gotiche ed emuli dei grandi modelli d’oltralpe ma in un contesto, come quello italiano, da sempre restio ad adeguarsi al modulo “ad quadratum” e pronto, a partire da Firenze, a reintrodurre i canoni di una classicità composta e razionale.
Milano si trova nel crocevia di questo dibattito e mano a mano che la costruzione avanza smantellando la primitiva chiesa, si sposta nel tempo il problema della facciata che, a fine ‘500, non può non assumere le forme del manierismo di Pellegrino Tibaldi. Sarà questo suo progetto la pietra di paragone per tutti i disegni successivi in quanto rivela la capacità di Pellegrino, già allenato dai lunghi lavori di riforma voluti da san Carlo Borromeo, ad innestare le nuove forme sulla struttura gotica. Era questa un’indicazione emersa quasi un secolo prima da Bramante quando, interpellato sul tema del tiburio, esortava a non rompere l’ordine de lo edificio, bensì a cercare la congruenza con l’impostazione dell’organismo gotico e completare l’apparato decorativo con le forme direttamente deducibili dal realizzato o dai disegni del tempo in cui questo Domo fu edificato.
Questa sottolineatura svolta da Luciano Patetta in catalogo è un’ottima chiave di lettura cui affiancare
La demolizione della primitiva facciata quattrocentesca avverrà solo nel 1683 per realizzare il progetto presentato da Carlo Buzzi, punto di equilibrio tra le soluzioni neopellegriniane e quelle neogotiche di Francesco Castelli benché soggetto a ulteriori modifiche nel corso dei lavori che si protrarranno fino a tutto il XVIII secolo. La mostra è parte di quelle iniziative promosse dalla Provincia sotto il titolo di “Milano specchio d’Europa” dedicate, quest’anno, al periodo della dominazione spagnola.
Ottimo il catalogo con testi di Luciano Patetta, Francesco Repishti e Richard Schofield, corredato dalle esaurienti schede di Silvia Perossi.
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Gabriella Anedi
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