Le sale del Pompidou presentano uno sguardo d’insieme, attraverso una selezione accurata e circostanziata, sull’opera di
Vassily Kandinsky (Mosca, 1866 – Neuilly-sur-Seine, 1944). La posizione del russo si fonda su una molteplice visione, allo stesso tempo messianica, progressista e storicista della propria opera.
Lo sviluppo del suo lavoro si definisce attraverso un lento affrancarsi dalla natura. In principio con un uso del colore di carattere antinaturalista, che ricorda l’opera di
Gauguin e le icone russe, continuando poi con lo svincolarsi dall’imitazione formale della realtà quale appare. Nel corso degli anni ’10 e per un certo periodo divide le proprie opere in tre categorie con differenti caratteristiche e ragioni d’essere: improvvisazioni, impressioni e composizioni.
Nella seconda parte dell’esposizione, le forme fluide e vaporose lasciano prima spazio a composizioni dalla struttura interna chiara e razionale, e i riferimenti alle poetiche del Bauhaus, nella cui scuola insegnò dal 1922, si fanno evidenti. Le opere appaiono quasi come
tesi di cui la struttura interna appare una limpida dimostrazione. Negli ultimi anni, poi, le tele si popolano di figure antropomorfiche che evocano quelle di
Miró e il contatto con gli ambienti surrealisti.
Kandinsky è consapevole che la chiave sta nell’equilibrio fra libertà e necessità, nello stagliarsi dello spirito dalla forma. Questa rappresenta il momento negativo ma imprescindibile, l’oggettivazione necessaria e veicolante il contenuto interiore, la ragion d’essere dell’opera d’arte. Le forme sono un mezzo per veicolare la spiritualità, che si rivela attraverso e a dispetto di queste. La struttura interna si fonda sull’equilibrio degli squilibri e dei contrasti. Le forme si ripetono e vivono della reciproca contiguità e i colori le riempiono a seconda delle necessità espressive.
Ne
Lo spirituale nell’arte, Kandinsky oppone astrattismo e realismo, opposizione autonegatesi nel momento in cui si riconosce nei differenti approcci all’arte una stessa necessità interna: rivelare la soggettività e la (non) comunicazione evocativa tra artista, opera e testimone. Realismo e astrattismo funzionano allora in maniera inversa e complementare.
Kandinsky fa anche riferimento al primitivismo, e di questo sembra esser concettualizzato come un tempo in cui le forme si sentivano; è l’equivalente di ciò che Bergson scrive sul Nero: non vede l’oggetto, lo
sente. Un riferimento quindi a un’idea antimaterialista dell’arte.
Nei suoi scritti, Kandinsky fa spesso riferimenti alla musica. Questi derivano probabilmente dalla presunta universalità dei suoni, dalla loro indipendenza dalla forma. La musica produce effetti immediati, non mediati dalla natura, sebbene è ovvio che
le musiche siano un prodotto culturale e necessariamente contestualizzato.
Se il linguaggio fonda la realtà, lo spogliare la realtà di Kandinsky ricorda lo spogliare la parola di
Ed Ruscha, che dimostra come l’indicibilità si possa dire. Quest’ambiguità è dell’ordine del poetico e secerne il suono interiore. Il suono puro, la melodia formale di Kandinsky, che colpisce l’anima.