Cindy Sherman (Glen Ridge, New Jersey, 1954) è l’icona indiscutibile delle sue stesse messe in scena, un’icona camaleontica presente attraverso una declinazione infinita di maschere. La scena è occupata da veri e propri personaggi teatrali, all’interno di un processo di consapevole inversione dei codici convenzionali della seduzione e dell’eleganza femminile. Il pacato realismo cinematografico delle prime immagini assume nel corso degli anni un carattere programmatico sempre più inquietante. L’ascesa verso l’eccesso e l’artificio è evidente nel percorso cronologico e tematico (250 le opere in mostra) scelto da Regis Durand, curatore della mostra: un percorso che, come lui stesso afferma, impressiona per il suo rigore, la sua inventiva e il suo incessante approfondimento .
Le prime serie, Untitled A-E, Bus Riders e Murder Mystery,sono scandite da primi piani in bianco e nero dove vengono presentate situazioni del quotidiano: bizzarri passeggeri in un autobus o enigmatici interpreti di una storia poliziesca immaginaria. Untitled film still della fine degli anni Settanta, serie ormai leggendaria di 69 fotografie in bianco in nero, presenta pose della Sherman catturate come fossero fermi immagine di un film. Una sequenza di stereotipi che richiama gli infiniti e ipotetici ruoli di un’attrice: sfuggente, seducente, ripugnante, domestica o diva, con forti richiami al neorealismo degli anni Cinquanta e alla Nouvelle Vague.
Dal 1981 con il passaggio al colore, la Sherman assume un carattere più intimo, introspettivo: foto di interni con piani molto stretti, concentrati sul corpo, che lasciano appena intravedere le ambientazioni, camere da letto proiettate come sfondi fissi.
Il realismo dei primi lavori viene sostituito dall’artificio attraverso una composizione sempre più inverosimile e macabra in Fairy tales; pittorialista e decisamente derisoria in History Portraits; totalmente disumanizzata ed estrema in Horror and Surrealist Pictures e Broken Dolls. L’artista statunitense affronta poi la pornografia in Sex Pictures, come reazione al puritanismo americano e agli episodi di censura ai danni delle fotografie di Mapplethorpe (1989). L’essere umano ritorna in Hollywood/Hampon Types attraverso caricature dal make-up improbabile, personaggi che cercano di vendere sé stessi per ottenere un impiego. Sono ritratti promozionali in cui risalta una mostruosità latente.
Qui il dualismo verità-artificio va cercato nei dettagli: nel trucco insensato, nelle protesi fuori posto, negli abiti audaci e negli sfondi da set pubblicitario. Il gusto per il travestimento grottesco porta infine la Sherman a confrontarsi con i clown, protagonisti dei suoi ultimi lavori.
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