Il Mamac promuove l’Arte povera sin dal 1991, con la personale di Gilberto Zorio. Il 1996 è stato l’anno di Giovanni Anselmo e quest’estate è la volta di Pier Paolo Calzolari.
La prima importante tappa pubblica dell’Arte Povera fu l’esposizione alla Bertesca di Genova nel 1967, quando già il “movimento” intesseva un dialogo transoceanico con la Minimal Art. I due centri propulsori erano Torino e Roma, mentre connettendo i motivi di questi artisti con gli spunti provenienti dalla Land Art, dall’Antiform e dall’Arte concettuale, Germano Celant coniava l’“etichetta” che Renato Barilli contribuirà a diffondere e sostanziare. Con il 1970 la consacrazione è assicurata: due notevoli appuntamenti ne sono garanti, la III Biennale bolognese e la collettiva alla Gam di Torino.
La critica più macroscopica dell’Arte povera è rivolta alla Pop Art: un rifiuto politico della categoria di “bene di consumo” coniugata nell’arte. Ma nell’aggettivo v’è anche una connotazione tecnica, concernente l’utilizzo di materiali “di scarto” e la durata effimera delle opere. Infine, come sottolinea Luciano Fabro, c’è un aspetto
In questo contesto va da sé riconoscere il valore di Paolo Mussat Sartor (Torino 1947), noto per i ritratti di personaggi dell’Arte povera, della Transavanguardia e del Minimalismo americano. Senza dimenticare l’inestimabile apporto storico derivante dal fissare eventi e performances: un contributo testimoniale inaggirabile delle azioni povere, raro esempio di dialogo fra linguaggi che ha un analogon nelle foto dei work in progress architetturali realizzate da Hélène Binet.
D’altronde il lavoro di Sartor non si risolve nella mera riproduzione delle opere: Achille Bonito Oliva ha notato come, specie nel caso delle sculture d’ambiente, sia necessaria la padronanza di medium differenti e una spiccata sensibilità nei riguardi
Fra i ritratti – rigorosamente in bianco e nero, come le altre fotografie qui presentate – spiccano Rovesciare i propri occhi (1970), dove il volto di Giuseppe Penone riflette nelle pupille di Sartor l’atto di fotografare; un inquietante speculum tanatografico ritrae Michelangelo Pistoletto in Cappio (1962-73), mentre tutt’altra posa nel triplo ritratto foto-mafioso di Ugo Mulas, Gian Enzo Sperone e Tucci Russo (1971), fino al sapienziale Emilio Vedova (1984).
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