Per chiunque decida di avventurarsi nella Biennale Internazionale di Arte contemporanea di Siviglia, alla sua seconda edizione, il primo consiglio è quello di leggere il suo titolo: Lo desacogedor. Escenas fantasmas en la sociedad global.
Il termine “desacogedor” –inaccogliente, tradotto letteralmente- non dice molto mentre, incredibile a dirsi, l’espressione inglese the unhomely aiuta a trovare un termine italiano che si avvicini il più possibile al cuore del concetto. “L’inospitale” si riferisce ad uno spazio globale problematico, investiga quanto il mondo che viviamo sia diventato così, inospitale perché ostile, pieno di contraddizioni e conflitti a tutti i livelli. Nelle parole del curatore, l’americano-nigeriano Okwi Enwezor, la Biennale si dedica ad “esplorare le alterazioni che oggi si vedono in tutte le strutture sociali del mondo”.
Le risposte artistiche a questa indagine sono state disparate. Nelle due sedi della Biennale –una in centro città nei Reales Atarazanas, gli antichi cantieri navali, e l’altra presso il Centro Andaluz de Arte Contemporaneo– si possono trovare opere di scultura, quadri, diapositive, video, installazioni, fotografie, disegni e progetti di architettura e grafica.
La serie di foto Catastrofe, dell’israeliana Ahlam Shibli ferma in istantanee digitali scene di desolazione e vuoto in zone urbane marginali di Berlino e Gerusalemme, mentre la natura relegata a spazio residuo vuoto dell’urbanismo inarrestabile è il soggetto delle diapositive Wastelands, di Lara Almarcegui.
Sui difficili temi del terrorismo, del cristallizzato bipolarismo fra oriente e occidente, e della guerra del petrolio alcuni artisti giocano usando a volte soluzioni tra l’ironico e il cinico. Huang Yong Ping ci regala una partita di calcio tra un oriente e un occidente stereotipati, sulla quale incombe un meteorite-nuvola gremito di inquietanti pipistrelli.
La contestatissima Skating Irak, del duo spagnolo El Perro, raffigurante un ragazzo su tavola da skate a ridosso di un gruppo di uomini nudi incappucciati, richiama alla mente gli orrori iracheni, mentre Fred Wilson rappresenta un mondo sospeso su una chiazza gigante di lucidissimo vetro nero (brillante e accattivante ma pur sempre di petrolio).
Incredibile l’istallazione di Thomas Hirschhorn, che con RE presenta per la prima volta il suo progetto Museé Precarie Albinet, realizzato nel 2004 a Parigi in Aubervilliers, quartiere dove vive. RE è uno spazio fisico -130 mq, 40 televisori, 80 neon montati su alte pareti fatte di cartone, librerie e divani- ma anche uno spazio mentale in cui l’inospitale viene sfidato attraverso esempi di reali condivisioni, inviti alla lettura e alla riflessione. Viene riportata in vita attraverso foto, video, opuscoli informativi la straordinaria iniziativa coprodotta dal Centre Pompidou e dai Laboratories d’Aubervillers che ha visto un quartiere marginale del nord di Parigi ospitare in una struttura non permanente opere di Dalì, Le Corbusier, Mondrian. Tutto organizzato e gestito solo dagli abitanti del quartiere, guidati dall’artista.
La possibilità di rendere il mondo e le società di nuovo ospitali. È qui la sfida: nella costruzione di un terreno di scambio reale, nel lavoro comune per un progetto e nella denuncia dei fenomeni d’isolamento e razzismo. È l’imperativo dell’individuo, della politica, dell’arte.
clara iannarelli
mostra visitata il 6 novembre 2006
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