KOO JEONG A - ODORAMA CITIES, Korean Pavilion 2024, La Biennale di Venezia, Installation view, Courtesy of Pilar Corrias, London, and PKM Gallery, Seoul, Photo Mark Blower
Nel fermento di una Corea del Sud che punta sempre di più sulla cultura – e su cui, a sua volta, il mondo dell’arte sembra puntare -, sono stati annunciati il team curatoriale e gli artisti che prenderanno parte al Padiglione nazionale alla 61ma edizione della Biennale d’Arte di Venezia, che si svolgerà dal 9 maggio al 22 novembre 2026. A guidare il progetto commissionato da ARKO – Arts Council Korea sarà la curatrice Binna Choi, direttrice della piattaforma dedicaati ai linguaggi performativi If I Can’t Dance di Amsterdam, affiancata dalle artiste Goen Choi e Hyeree Ro.
Il progetto prende il titolo provvisorio di Liberation Space e si sviluppa a partire da un concetto che intende ridefinire l’idea stessa di padiglione nazionale, trasformandolo in una piattaforma fluida e relazionale, un living monument, un monumento vivente.
Come spiega la curatrice, l’obiettivo è «Riflettere sulle tensioni tra infrastrutture, libertà e forme di solidarietà», in un periodo storico in cui la Corea del Sud vive trasformazioni sociali e politiche profonde. Choi collega infatti la visione del padiglione agli eventi più recenti che hanno scosso il Paese: «La Corea del Sud ha recentemente vissuto una brusca dichiarazione della legge marziale da parte del presidente in carica, seguita da oltre quattro mesi di manifestazioni nazionali per l’impeachment, nonostante un panorama politico fortemente diviso. Sulla scia di questi eventi, possiamo ricordare il triennio immediatamente successivo alla liberazione della Corea dal dominio coloniale giapponese, un periodo ampiamente conosciuto come Liberation Space, e riflettere sulla sua evoluzione, continuità e potenzialità transnazionale nel contesto geopolitico contemporaneo».
Il padiglione sarà, nell’idea della curatrice e delle artiste, al tempo stesso una “fortezza” e un “nido”: due immagini solo in apparenza contrastanti ma che, in realtà, si legano entrambe, seppur in termini diversi, al concetto di protezione. A questa struttura si affiancheranno anche tutta una serie di programmi di ricerca e scambio, con l’obiettivo di costruire una comunità inclusiva fondata sul dialogo, la cura e la solidarietà.
Nata nel 1985 a Seul, Goen Choi è conosciuta principalmente per le sue installazioni scultoree realizzate con materiali industriali di scarto, come tubature, condotti d’aria e parti meccaniche. Vincitrice del Frieze Seoul Artist Award 2024, Choi riflette sulle architetture invisibili che sostengono la vita urbana e domestica.
Hyeree Ro, nata nel 1987 a Seul e attualmente tra Brooklyn e la Corea, lavora invece tra scultura, performance e installazione, esplorando i temi della mobilità, dell’identità e della memoria diasporica. Le sue opere intrecciano frammenti di lingua, oggetti e gesti quotidiani in narrazioni a metà tra autobiografia e finzione. In lavori come Niro (2024), ad esempio, l’artista ricostruisce la scocca dell’auto del padre trasformandola in un’installazione audio-visiva sulla distanza, il viaggio e il legame familiare.
Attraverso il dialogo tra Goen Choi e Hyeree Ro, il padiglione si presenterà come un “organismo in costruzione”, che abita la soglia tra spazio espositivo e spazio sociale, invitando il pubblico a riflettere su nuove forme di coesistenza.
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