Cosa ti dice il cervello quando sei di fronte ad un’opera d’arte?

di - 31 Marzo 2024

Il cervello umano è un ecosistema complesso di aree, meccanismi e dinamiche che collaborano e competono per darci una comprensione del mondo che ci circonda. La fruizione dell’arte, con la sua capacità di evocare emozioni, sollecitare la memoria e stimolare riflessioni, è un esempio lampante di quanto sia sofisticato il lavoro all’interno del nostro encefalo.

Che cosa ha provocato nella psiche di Kandinskij l’ammirazione per i covoni di Monet? Perché l’artista russo, a causa di questa visione, cambiò radicalmente l’approccio nei confronti della sua ricerca e, in generale, al mondo dell’arte? Kandinskij intuì in un batter d’occhio che il soggetto all’interno del dipinto non era il vero protagonista dell’opera ma che colore e forma sono le sole capaci di suscitare la pura emozione nel fruitore: nasceva l’arte astratta magistralmente teorizzata nello Spirituale nell’arte, pubblicato dal pittore moscovita nel 1909.

Oggi, tra le molte discipline che cercano di rispondere a queste e tante altre domande, immergendosi in questa complessità, vi sono le neuroscienze che, rispetto all’esperienza estetica, studiano principalmente come le diverse aree del cervello interagiscano tra di loro. Attraverso esperimenti e tecniche di neuroimmagine avanzate, i neuroscienziati sono stati in grado di mappare le attivazioni cerebrali provocate dall’opera d’arte, evidenziando come essa stimoli non solo le regioni legate alla percezione visiva, ma anche quelle associate a processi cognitivi ed emotivi più profondi.

Non esiste infatti, un unico “centro dell’arte” nel cervello, una zona preposta esclusivamente alla fruizione artistica. Al contrario, l’esperienza estetica è il risultato di un concerto di attività cerebrali, dove diverse regioni collaborano per elaborare le molteplici dimensioni dell’esperienza creativa che oggi più che mai è diventata totalizzante nelle opere di artisti “analogici”, da Anselm Kiefer, Wolfgang Laib, Anish Kapoor, dove l’approccio e la modalità espressiva acquistano una determinazione oggettiva legittimata dalla manipolazione dei materiali. Tra gli artisti “virtuali” che offrono allo spettatore una immersione coinvolgente e completa, figura invece Refik Anadol. Il suo umanesimo digitale parla semplice, è popolare, è Renaissance Dreams, capace di destreggiarsi con algoritmi e big data e rimettendo in discussione con le sue Machine Hallucination, la sindrome di Sthendal.

Il processo biologico che avviene quando guardiamo un’opera

In fondo, tutto parte dalla vista, il primo senso che ci mette in contatto con la complessità dell’opera. A livello di attivazione cerebrale, questo processo inizia nelle aree dedicate alla visione, come la corteccia visiva primaria, situata nella parte posteriore del cervello. Da qui, l’informazione visiva segue due percorsi principali: il percorso ventrale e il percorso dorsale. Il percorso ventrale, noto come la “via del cosa” si inserisce nella corteccia visiva secondaria per poi raggiungere le zone più temporali del cervello (posizionate lateralmente al cranio, sotto le orecchie). Essa si occupa dell’identificazione degli oggetti, permettendoci di riconoscere ciò che stiamo guardando. Questo percorso è cruciale per interpretare i simboli, i colori e le forme che compongono un’opera d’arte. D’altra parte, il percorso dorsale, la “via del dove”, ci aiuta a localizzare gli oggetti nello spazio, fornendoci una percezione della profondità, del movimento e della posizione relativa degli elementi all’interno di un’opera. Tale via, dalle aree primarie della visione, arriverebbe fino alle cortecce parietali, che “rivestono” la superficie esterna degli emisferi del cervello.

Il “viaggio” dello stimolo artistico continua, raggiungendo aree differenti che corrispondono a più elevati livelli di elaborazione e complessità. Tra queste, ci sono la corteccia prefrontale, che è coinvolta nel nostro modo di pianificare e riflettere; l’insula, che ha a che fare con le nostre emozioni e sensazioni; la corteccia cingolata anteriore, che ci aiuta nella presa di decisioni e nella valutazione delle emozioni; e il sistema limbico, che è fondamentale per le nostre emozioni e la memoria. Queste aree del cervello lavorano insieme per elaborare le emozioni, ricordare esperienze passate e percepire il piacere rispetto a quello che stiamo osservando.

Le aree del cervello che si attivano quando guardiamo un’opera

Grazie agli studi condotti con la risonanza magnetica funzionale (fMRI), abbiamo iniziato a capire meglio anche come le diverse forme d’arte “tocchino” il nostro cervello, in modi unici. Ad esempio, è stato scoperto che l’arte astratta stimola quelle parti del cervello legate alla riflessione su noi stessi e all’introspezione, mentre l’arte figurativa, quella che ritrae oggetti e scene riconoscibili, attiva le aree del cervello implicate nel riconoscimento di questi elementi e nel loro inquadramento in un contesto. Questo significa che l’arte non solo ci emoziona, ma coinvolge anche diversi processi mentali, dalla percezione alla memoria fino all’introspezione e che tali processi potrebbero essere esclusivi rispetto al tipo di opera che abbiamo davanti agli occhi. Di fronte ad un quadro di Piet Mondrian strutturato con linee verticali e orizzontali e da un numero limitato di colori, l’osservatore non può ricondurre tutto ad una partitura composta di soli colori primari e avente una sola condizione estetica. Il neoplasticismo dell’artista olandese era stato concepito con intenzione decisamente diverse – lo testimoniano i suoi scritti – le sue griglie di quadrati e rettangoli, che stabiliscono l’equilibrio degli opposti in un’armonia universale, filosofica e sociale, in un’arte che ha poi un ulteriore straordinario potere: quello di avvicinare le persone in un’osmosi relazionale costruttiva.

Piet Mondrian

Tutti i benefici dell’arte sulla nostra psiche

In tal senso, le neuroscienze possono chiarire alcuni aspetti dei nostri comportamenti nel momento in cui partecipiamo a eventi culturali o ci dedichiamo a attività artistiche, soprattutto se, con altre persone, creiamo esperienze comuni che rafforzano i legami sociali e promuovono un senso di appartenenza. Rispetto a questo, si è scoperto che, di fronte a immagini considerate esteticamente piacevoli, il nostro cervello mostra una maggiore attivazione in aree legate all’empatia e alla regolazione delle emozioni. Questo effetto unificante dell’arte è legato a diversi meccanismi neurali che hanno a che fare con il funzionamento del nostro cervello sociale, tra cui i neuroni specchio.

Altri meccanismi neurali, legati al condizionamento classico e all’apprendimento associativo, insieme a meccanismi neuroendocrini che promuovono la produzione di ossitocina e la prolattina, possono avere un ruolo importante nel mediare le risposte emotive e di ricompensa scatenate dagli incontri estetici. Inoltre, i meccanismi del “tocco sociale”, che coinvolgono l’attivazione di recettori cutanei, possono contribuire al legame emotivo che nasce proprio durante le esperienze estetiche condivise.

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