Eva Chiara Trevisan è un’artista schiva, che non ama molto parlare e dar mostra di sé. L’abbiamo conosciuta mentre approfondiva la sua ricerca negli studi della Bevilacqua La Masa, e da lì abbiamo cominciato a seguirla nei suoi percorsi locali, vista l’epoca di spostamenti negati.
Quello che ci ha sempre colpiti delle sue opere è che sono un ossimoro fatto concretezza, l’esplosione di colore che strato dopo strato, passaggio dopo passaggio si fa nero, quasi fosse un percorso di approfondimento intimo e personale che porta verso luoghi inesplorati dell’interiorità.
La huella, l’impronta dell’animale che si imprime nella terra, è il titolo della personale di questa giovane artista classe 1991, titolo che tradisce le origini ispaniche e traccia la direzione di una ricerca fatta per incidere, con la sua costanza e il suo desiderio di evoluzione lenta, stratificata, tutt’altro che frivola o leggera.
Dai neri pieni dei suoi lavori precedenti però, tra le mura asimmetriche della marina bastianello gallery, vero cuore pulsante del contemporaneo nel polo M9 di Mestre, una via verso la levità si trova, giocando sulle trasparenze e non più sull’inevitabilità dei pieni. Un allestimento che prevede di attraversare opere sospese nell’aria a mezz’altezza, costringendo lo spettatore ad una prossimità quasi invadente. Supporto, materiale e immateriale vengono in qualche modo scomposti senza rinunciare al loro chiaroscuro, per ricomporsi in un’unica installazione ambientale in cui la persona può abitare.
Alessio Vigni, curatore che sta collaborando assiduamente con la galleria, considera tra i filoni portanti della sua ricerca il rapporto tra arte contemporanea e società presente, in cui è indispensabile porsi il problema del rapporto tra arte e sua fruizione da parte del pubblico. Parlando di Eva, nel suo testo critico sulla mostra scrive: “La memoria, la natura, lo scorrere del tempo, le tracce del suo agire e le conseguenze dei cicli naturali, sono questi i temi che Eva Chiara Trevisan indaga con la sua ricerca artistica. L’allestimento delle sue opere è progettato in modo che la materia proietti la sua essenza sulla parete, creando dei giochi di ombre e luce, simili a quelli che si creano in natura”.
Non si rinuncia, nonostante la pulizia generale dell’espositivo, a portare tracce ed elementi dello studio dell’artista, di quel lavorio che porta all’opera finita. Su questo crinale stanno i grandi teli di nylon su cui leggere gli sconfinamenti dei lavori veri e propri, quei fogli fatti per non sporcare il pavimento, per rendere la propria presenza discreta, che riescono a definire il valore del rimosso. A questi si aggiunge una bottiglia di vetro piena del colore di scarto, il distillato della fatica e della costanza con cui ogni pezzo è stato creato.
Una mostra potente ed effimera, in cui i vuoti si prendono tutto il loro spazio e i pieni trovano finalmente accoglienza in reciproca armonia.
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