Focus curatori in 22 domande: intervista a Sofia Baldi Pighi

di - 7 Settembre 2025

Prosegue il nostro FOCUS curatori, 22 domande (le stesse per tutti) destinate a curatori e curatrici spesso “outsider”, per raccontare attraverso declinazioni personali, caratteristiche, metodologie e modalità proprie della professione curatoriale odierna. Un mestiere relativamente nuovo che, nel corso di qualche decennio, ha cambiato radicalmente forma. Una pratica dinamica, basata su studio, fonti d’ispirazione e conoscenze interdisciplinari. Un ruolo di “cura” e responsabilità nei confronti degli artisti e delle loro ricerche, del pubblico, di attenzione ai cambiamenti nella società, nel dibattito sociale, politico e culturale del momento. La nuova puntata della nostra rubrica ha per protagonista Sofia Baldi Pighi.

Sofia Baldi Pighi, Ph Brian Grech

Come ti definiresti?

«Sono una giovane donna europea, originaria della pianura padana e trapiantata in un’isola del Mar Mediterraneo. Vivo a Gozo, dal fenicio “ghawdex” che significa “gioia”, una piccola isola parte dell’arcipelago maltese che, secondo l’Odissea, è stata la casa della ninfa Calipso».

Dove sei nata e dove vivi attualmente?

«Sono nata a Fidenza, in provincia di Parma, e sono cresciuta tra Fiorenzuola, Piacenza e Milano, immersa nella nebbia del Nord in inverno e in meravigliose valli d’acqua dolce in estate. Dopo sette anni a Milano ho capito che avevo bisogno di migliorare la qualità della mia vita e mi sono trasferita a Malta, dove abito da tre anni. È dall’isola che seguo e sviluppo progetti che mi portano a spostarmi e abitare in diversi luoghi e contesti, dalle grandi metropoli come Seoul, Beijing o Città del Messico ai piccoli paesi dell’entroterra italiano, dove collaboro e partecipo a residenze con e per artisti. Recentemente ho iniziato anche a gravitare intorno a Torino, dove ho vinto un dottorato di ricerca».

Beijing estate 2024, insieme all’artista Camilla Alberti e al curatore Ran Tang, ph: Ran Tang

Dove vorresti essere nata e dove vorresti vivere?

«Confesso che ogni tanto sogno di essere una cittadina del nord Europa, svedese o svizzera, per poter accedere al sistema culturale locale che riconosce e dà dignità ai lavoratori e lavoratrici dell’arte e ne tutela il lavoro, mentre in Italia siamo regolarmente sfruttati, precari e sottopagati. Nonostante ciò, mi sento molto fortunata a essere nata in Europa con la garanzia del terzo passaporto più potente al mondo, quello italiano. Questo semplice libretto di carta ci consente di arrivare quasi dappertutto, anche in territori ad alto conflitto. Avere un passaporto così potente è un privilegio da usare».

Quando hai capito che ti interessa l’arte?

«Non è stato amore fin da piccola. Non provengo da una famiglia legata al mondo dell’arte e a scuola non abbiamo mai studiato arte contemporanea, al massimo si nominava Andy Warhol. In quarta liceo classico alcune professoresse organizzarono una gita al MART di Trento, proprio durante l’Open Day dell’università. Quasi tutti i miei compagni di classe preferirono partecipare all’orientamento mentre io decisi di visitare il museo, quasi in solitaria. La visita, senza la rumorosa compagnia dei miei amici, fu sorprendentemente intima. Sulle scale di quel museo, ignara di cosa fossero un curatore o un gallerista, decisi che l’arte avrebbe fatto parte del mio futuro. Il benessere che ho provato dall’essere circondata da opere d’arte è una sensazione che oggi continuo a cercare».

Quando hai deciso che avresti fatto la curatrice?

«Le scelte importanti nella vita sono spesso lente e organiche, non spettacolari come nei film. Ho iniziato a studiare storia dell’arte, poi a frequentare gli artisti dentro e fuori i libri che leggevo e, a poco a poco, mi sono innamorata. Oggi, per me, essere curatrice significa ridefinire continuamente il modo in cui accompagnare una pratica artistica. Molto spesso, basta saper ascoltare gli artisti e immaginare insieme a loro».

Quali sono i libri che ti accompagnano nel tuo percorso professionale da curatrice?

«Mi sono abbuffata della Pedagogia degli Oppressi di Paulo Freire e di tante biografie di artisti. Il coraggio dell’etica. Per una nuova immaginazione morale di Laura Boella è stato un libro importante per plasmare la mia percezione della curatela».

Quali sono le fonti, gli autori e le opere extra-artistiche visive, di cui ti nutri nello svolgimento della tua attività scientifica?

«Nel corso degli anni la mia ricerca si è avvicinata all’antropologia e si è fatta sempre più “di campo”, di conseguenza anche le fonti si sono situate. Le testimonianze di chi è in prima linea, di giornalisti o operatori della mobilitazione civile (ONG) sono fonti essenziali per la mia attività di ricerca. Quando posso, rubo anche alla poesia, cerco di assorbire più che posso la costruzione immaginifica dei poeti».

Qual è la mostra che ti ha segnato e perché?

«Nell’arco degli ultimi sei mesi, sicuramente la personale dell’artista ceca Klára Hosnedlová presso la meravigliosa main hall dell’Hamburger Bahnhof a Berlino e la collettiva di artisti ucraini presso il Pinchuk Art Centre di Kyiv. Entrambe mostre spacca cuore».

Klára Hosnedlová, CHANEL Commission: Klára Hosnedlová. embrace, 2025, Installationsansicht Hamburger Bahnhof – Nationalgalerie der Gegenwart. Courtesy Artist, Kraupa-Tuskany Zeidler, White Cube / Staatliche Museen zu Berlin – Nationalgalerie , Zdeněk Porcal – Studio Flusser

Qual è l’opera d’arte che ti ha avviato nei sentieri della professione nelle arti visive?

«Più che una singola opera, parlerei della pratica dell’artista italiana Camilla Alberti. Io e Camilla eravamo colleghe sui banchi di scuola, e abbiamo imparato insieme a misurarci con il mondo fuori dai cancelli dell’accademia. Organizzammo la nostra prima mostra con 100 euro di budget dal Brico di viale Corsica a Milano, poi la prima galleria, la prima istituzione pubblica fino alle nostre prime due biennali insieme. Le nostre pratiche sono profondamente intrecciate e ispirate una all’altra».

Camilla Alberti, The Biome of Shared Skins, 2025. The Mutable Line, Credits GGallery, Seoul

Quali artisti contemporanei che hai personalmente conosciuto sono stati importanti nell’avviamento della tua professione? E perché?

«Mi sento fortunata perché sono tanti gli artisti e i maestri che mi hanno accompagnata fino a qui. Lavorare a fianco di persone come Tania Bruguera, Pedro Reyes e Ibrahim Mahama mi ha profondamente ispirata, in particolare per la capacità di ricaduta nel reale che questi artisti sono in grado di generare. Quasi tutti gli artisti con cui ho immaginato mostre e progetti sono oggi amici e compagni di bevute. Ho scoperto che gli artisti, di solito, sono ottimi cuochi!».

Tania Bruguera: The Poor Treatment of Migrants Today Will Be Our Disgrace Tomorrow, 2024, Courtesy of the Artist and Malta Biennale, ph by Julian Vassallo

Quali sono stati i tuoi maestri diretti e/o indiretti nella curatela?

«La curatrice e critica d’arte Irene Biolchini, amica, collega e mentore che mi ha insegnato come stare accanto agli artisti e che ora guida la mia ricerca di dottorato. L’antropologo Franco La Cecla che ogni giorno mi dimostra come praticare un pensiero divergente, l’architetta Daniela Rossi Cattaneo, l’amico e filosofo Leonardo Caffo e ora Rosa Martinez che dirigerà la seconda edizione della Biennale di Malta».

Con quale progetto hai iniziato a definirti curatrice?

«Penso alla collettiva Figli sbagliati per i prossimi giusti del 2017, che più che una mostra era una sperimentazione con amiche e studentesse artiste presso un centro per anziani a Milano. Ripensandoci oggi, definirla “mostra” era davvero prematuro, ma è stata comunque la prima volta che, insieme alle artiste, ci siamo imbarcate nella progettazione culturale, dalla produzione di opere fino all’allestimento e alla restituzione con il pubblico».

Qual è la tua definizione di curatore?

«Creare le condizioni giuste per innescare scintille. Le scintille sono le opere, noi curatori proviamo a generare l’habitat giusto affinché l’intuizione degli artisti possa prendere forma».

Qual è la tua giornata tipo?

«Risveglio lento e caffè, al mattino uso la parte del mio cervello che mi consente la scrittura, mentre nel pomeriggio navigo fra ondate di mail e testi in cui immergermi».

Hai dei riti particolari quando lavori?

«Mi ritaglio sempre un momento in solitudine con la mostra prima di spegnere la luce dell’ultimo giorno di allestimento».

C’è uno spazio per l’imprevisto nel tuo lavoro?

«Sì, e a questo di solito ci pensano agli artisti. Chiunque faccia il mio mestiere sa che le loro intuizioni corrono veloci come nuvole, e noi curatori cerchiamo di fermarle e di farle abitare anche in terra».

Qual è il progetto, la mostra che hai curato che trovi più rappresentativa del tuo percorso scientifico?

«Senza dubbio la Direzione Artistica della Biennale di Malta nel 2024, Insulaphilia, accanto alle curatrici Emma Mattei, Elisa Carollo e all’architetto Nigel Baldacchino. Insieme abbiamo immaginato una prima edizione radicata nel Mediterraneo, una regione segnata da storie stratificate e migrazioni in corso. Qui la frontiera non è vista come luogo di divisione ma come laboratorio di convivenza, capace di proporre nuovi modelli politici e sociali. Insulaphilia invita a ripensare i confini, tanto fisici quanto concettuali, come terreni fertili per esperimenti utopici».

Rosa Barba, Inside the Outset: Evoking a Space of Passage, 2024. Courtesy of the Artist and Malta Biennale, ph by Julian Vassallo
Post Disaster, Unfinished Barricade: A Space for Borderline Hesitations, 2024, Courtesy of the Artist and Malta Biennale, ph by Julian Vassallo

A tuo avviso, qual è lo stato della critica d’arte in Italia?

«Vista dall’interno, la critica d’arte in Italia sembra un paziente morente. D’altronde, in un sistema dove mancano finanziamenti strutturali per le giovani penne e le gallerie commissionano e pagano le recensioni ai giornalisti, non potrebbe essere altrimenti. Vista da fuori, da un piano internazionale, sono tantissime le realtà editoriali in Italia che, seppur annaspando, continuano a promuovere la produzione critica e indipendente».

Quali sono i tuoi riferimenti critici?

«Senza Claire Bishop, Paulo Freire e Maura Reilly, il mio modo di intendere la curatela sarebbe molto diverso».

La mostra di un altro collega che avresti voluto curare?

«Ah, questa è facile. La mostra al Museo Anahuacalli di Città del Messico in collaborazione con TONO, ¿Cómo se escribe muerte al sur?, di Carolina Fusilier e Paloma Contreras Lomas, curata da Karla Niño de Rivera Torres (responsabile delle mostre e delle collezioni, nonché capo curatrice) e Sam Ozer (curatrice e fondatrice di TONO, un’organizzazione no-profit che esplora e sostiene le arti performative tra cui danza, musica e moving image). Sono ammirata e forse un po’ invidiosa della delicatezza poetica con cui le curatrici hanno immaginato una mostra d’arte contemporanea all’interno di questo museo in pietra vulcanica, accanto alla collezione di arte precolombiana di Frida Kahlo e Diego Rivera».

Carolina Fusilier & Paloma Contreras Lomas, Las inmortalistas VI, 2025. ¿Cómo se escribe muerte al sur? Installation view. Courtesy Museo Anahuacalli

Quale ritieni che sia il tuo più grande limite professionale?

«Come ariete ascendente leone… direi la testardaggine».

Progetti in corso e prossimi?

«Sto facendo un dottorato di ricerca all’Accademia Albertina di Torino per indagare la trasformazione dell’Europa in una fortezza coriacea. I principi fondamentali della persona e i valori delle democrazie del vecchio continente vacillano di fronte al fenomeno migratorio e, i luoghi di frontiera, sono progressivamente naturalizzati in spazi di morte. La ricerca intende rielaborare il ruolo degli artisti in spazi liminali, nella particolare partizione geopolitica dei territori insulari, per immaginare nuovi futuri possibili per la regione del Mediterraneo Centrale. Inoltre, sto progettando una mostra allo Yermilov Center di Kharkiv insieme alla curatrice ucraina Olena Kasperovych e al filosofo Leonardo Caffo, The Beauty the Beast and the Border e presto annunceremo gli artisti coinvolti. A breve sarò in Uzbekistan in occasione della prima Bukhara Biennale Recipes for Broken Hearts a cura di Diana Campbell e non vedo l’ora di immergermi in questa nuova avventura!».

Chi è Sofia Baldi Pighi

Sofia Baldi Pighi (Fidenza, 1995) è una curatrice italiana e dottoranda con base tra Milano e Gozo (Malta). Dal 2017 si occupa delle intersezioni tra arte contemporanea, patrimonio storico e politica militante attraverso mostre, programmi pubblici e workshop di arte terapia. È Direttrice artistica e Head Curator della Malta Biennale 2024, Insulaphilia, promossa da Heritage Malta con il patrocinio UNESCO, ed è stata parte del team curatoriale del primo Padiglione Italiano alla 14ª Biennale di Gwangju (Corea del Sud).

Dal 2023 è curatrice per Una Boccata d’Arte in Emilia-Romagna, progetto promosso da Fondazione Elpis con Galleria Continua e Threes Production. Ha collaborato con istituzioni come UNESCO-WHIPIC, Triennale Milano, Quadriennale di Roma, MANN Napoli, Università Orientale, Biennali di Larnaca e Mulhouse, MOKA (Corea). Ha lavorato con gallerie e aziende nazionali e internazionali e scrive per riviste come NERO, exibart e Modern Times.

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