Geografia e natura: David Hockney e Alighiero Boetti a Parigi

di - 9 Dicembre 2021

Remember you cannot look at the sun or death for very long, la video-installazione di David Hockney già presentata sui maxischermi a Times Square di New York nello scorso maggio è l’incipit della mostra aperta a fine novembre: “David Hockney A Year in Normandie” al Musée de l’Orangerie. Dopo quella proiezione che si conclude con un sole sempre più accecante, nella sala che un tempo ospitava in penombra la suggestiva ricostruzione fotografica della collezione di impressionisti com’era allestita in casa Walter-Guillaume prima di divenire patrimonio del museo, inizia il percorso nella grande galleria del museo lungo un fregio figurativo continuo, 100 x 9075 cm, che raccoglie un centinaio di immagini dipinte su IPad e poi rielaborate come un tentativo di mediazione della tradizione con l’arte digitale.

David Hockney, A Year in Normandie, dettaglio di pittura con iPad

L’artista britannico installatosi a Beuvron-en-Auge nel Calvados in Normandia dall’inizio del 2019, forse per godersi in santa pace il trionfo della vendita record nel 2018 del suo Portrait of an Artist (Pool with two figures) per 90,3 milioni di dollari, vede al Musée de Bayeux la celebre Tapisserie de la reine Mathilde del XI secolo dalla quale viene fortemente colpito. È l’ispirazione del progetto per un ciclo pittorico sull’arrivo della primavera, ma non appena dà inizio al ciclo nel marzo 2020, viene dichiarato il confinamento nazionale per il Covid. Durante la paralisi planetaria armato di IPad e uno stilo, tecnica che ha ormai da tempo sperimentato, costruisce un rendering situato tra la pittura post-impressionista e una grafica supercontemporanea. Sulle orme degli impressionisti en plein air rappresenta gli effetti della luce, dei cambiamenti del tempo e dell’evoluzione naturale nella primavera; ma Hokney si appassiona e anche se il confinamento si smorza continua a lavorare: descrive l’arrivo dell’estate e poi dell’autunno e dell’inverno. Quell’intero anno ora scorre anche davanti ai nostri occhi nel lento percorrere della galleria con allegria e sorpresa e non senza ripensare alle Nymphee di Monet esposte al piano di sopra.
Di questa installazione così avvolgente e coinvolgente colpisce anche l’ardimento di aver introdotto in uno dei templi dell’epopea impressionista un’operazione cosi anticonformista che trasforma la materia della natura e la materialità dei colori e dei supporti cui ci hanno abituato quei maestri, in un nastro di carta plastificata. La composizione a tinte piatte dall’accento pop apre un dialogo e un confronto ancora più spiazzante se osservata in contemporanea con la bellissima mostra “Chaïm Soutine / Willem de Kooning, la peinture incarnée”, esposta nelle sale confinanti fino al 10 gennaio, nella quale la carnalità delle immagini è rafforzata dalla profondità delle pennellate e dei colori.

David Hockney, A Year in Normandie, vista della mostra

A poca distanza, al 16 di Avenue Matignon, la Galleria Tornabuoni Paris per uscire dalla sospensione intervenuta dopo la mostra inaugurale dell’ottobre 2020, dedicata al Minimalismo italiano ha inaugurato la mostra “Alighiero Boetti – Pensando all’Afghanistan” che sviluppa la Retrospettiva Boetti allestita nel 2017 nella sede provvisoria della galleria al Passage de Retz, nel IV arrondissement dove venne presentata una selezione di opere a partire dai suoi primi disegni e alle opere associate all’Arte Povera.
Questa mostra presenta il lavoro di Alighiero Boetti (1940 – 1994) con un focus particolare sulla sua produzione nell’esperienza in Afghanistan e sul rapporto con il suo popolo. Nella primavera del 1971 Boetti, alla ricerca di “qualcosa di lontano”, scoprì l’Afghanistan dando vita alla relazione che legò l’uomo e la sua opera al popolo afgano per 23 anni fino alla sua morte nel 1994. Legami che mantenne anche durante l’esilio seguito all’invasione sovietica del 1979, accogliendo tra l’altro alcuni dei suoi assistenti nella propria famiglia in Italia. Le sue intenzioni artistiche, le sue esperienze e la conoscenza del paese e soprattutto la sua curiosità intellettuale danno vita a opere che agiscono quali “sismografi culturali e geopolitici” come le Mappe (1971-1994), realizzate da ricamatrici afgane.

Alighiero Boetti – Pensando all’Afghanistan, vista della mostra da Tornabuoni Paris

Il suo lavoro è una testimonianza delle trasformazioni socio-politiche che hanno interessato il Medio Oriente negli anni ’70 e ’80, vedendo, per esempio, le ricamatrici fuggire a Peshawar, in Pakistan, dove riuscirono a produrre alcuni degli ultimi ricami. Fra le opere si ritrovano i Lavori postali, alcuni ricami iconici e una serie di lavori su carta concepiti nel suo studio romano nel periodo in cui gli era impossibile entrare in Afghanistan, tra cui Primo lavoro dell’anno pensando all’Afghanistan (1990) da cui la mostra prende il nome. Per descrivere l’articolazione di quell’esperienza viene anche presentata una ricca selezione di fotografie e documenti dell’archivio della famiglia dell’artista, che danno un’ampia visione del contesto in cui Boetti lavorò.

Alighiero Boetti – Pensando all’Afghanistan, vista della mostra da Tornabuoni Paris

Gli obiettivi che possono individuarsi in questa scelta dell’affermata galleria italiana appaiono molteplici: ribadire il senso della continuità e dell’approfondimento delle linee culturali della propria “mission”; riportare anche nel tessuto urbano e ad una fruizione allargata un patrimonio artistico senza privilegiare i territori inaccessibili gestiti dal puro mercato; ribadire la necessità di allargare le platee della conoscenza diretta dell’esperienza novecentesca e contemporanea accumulata in Italia; riaccendere con coraggio civile l’attenzione, in un momento storico complessivamente dilaniato, su un casus internazionale che ha rivelato la manifesta incapacità e malafede delle potenze occidentali. Boetti invece illumina ancora adesso con la lucidità della sua sensibilità artistica e le sue emozioni le specifiche caratteristiche di un popolo e una comunità antica, prima che venissero distrutte e stravolte da un cinico gioco di spartizione.

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