Kevin Abosch: l’arte generativa entra a Palazzo Citterio di Milano

di - 23 Giugno 2025

A pochi mesi dalla riapertura, Palazzo Citterio ci tiene a distinguersi per la vivacità della sua programmazione. L’edificio settecentesco, restituito al pubblico nel dicembre 2024 nell’ambito del progetto Grande Brera, ospita oggi le collezioni moderne e contemporanee della Pinacoteca, distribuite su più livelli e affacciate su un bel giardino, vagamente ombreggiato, rifugio ideale nelle giornate già roventi, insieme a una garantita pausa al bistrot. Dal 12 giugno al 14 settembre 2025, il foyer del palazzo ospita Parallax, a cura di Clelia Patella, opera video generativa di Kevin Abosch, artista irlandese nato a Los Angeles nel 1969, tra le figure di riferimento della sperimentazione digitale. Il progetto è realizzato in collaborazione con il nascente Museo Nazionale dell’Arte Digitale di Milano, destinato a entrare anch’esso nel polo della Grande Brera.

Parallax by Kevin Abosch installed in Palazzo Citterio in Grand Brera, Milano

L’aggettivo generativa indica un’opera che non si limita a riprodurre contenuti predefiniti, ma che si sviluppa in tempo reale attraverso algoritmi, producendo ogni volta una combinazione visiva unica e non replicabile. In Parallax, le immagini non sono montate o fissate in sequenza, ma generate dal codice che ne regola il flusso, rendendo ogni visione diversa dalla precedente. Il titolo allude alla parallasse, un fenomeno ottico che si manifesta quando un oggetto sembra spostarsi rispetto allo sfondo se osservato da due posizioni diverse. In realtà, l’oggetto resta fermo, è l’osservatore che si muove, e con lui cambia l’allineamento apparente tra figura e contesto.

Kevin Abosch, Parallax, 2025, Palazzo Citterio, La Grande Brera, Milano, courtesy l’artista

Per comprenderlo basta il semplice gesto di tendere un dito davanti a sé e guardarlo prima con un occhio, poi con l’altro. Il dito sembrerà “saltare” da una parte all’altra, anche se non si è mai mosso. La parallasse è un principio che, fin dall’antichità, ha reso possibile calcolare la distanza degli astri, una pratica abituale anche al limitrofo Osservatorio di Brera a cui Abosch offre un omaggio. Ma è anche un concetto che porta con sé una riflessione più ampia non su ciò che vediamo, ma su come vediamo. L’artista traduce questa logica in un’esperienza visiva che mette in discussione la stabilità della percezione. Sul grande ledwall si alternano oggetti fluttuanti, forme biomorfe, reperti tecnologici. Non c’è una narrazione lineare, ma un campo visivo instabile dal quale è difficile staccare gli occhi.

Kevin Abosch, Parallax, 2025, Palazzo Citterio, La Grande Brera, Milano, courtesy l’artista

Formatosi in filosofia e psicologia, Kevin Abosch ha esplorato i linguaggi dell’intelligenza artificiale e della blockchain applicati alla pratica artistica. Ha esposto in istituzioni come l’Hermitage di San Pietroburgo, il Jeu de Paume di Parigi e il Museo d’Arte Moderna di Bogotá. Nel 2024 ha firmato Am I?, primo lungometraggio interamente generato da un’intelligenza artificiale, un’opera visionaria e inquieta.

Anche in Parallax, come in Unsupervised di Refik Anadol (Istanbul, 1985) o in The Substitute di Alexandra Daisy Ginsberg (Londra, 1982), artisti che ricercano in un ambito affine, il rapporto tra umano e artificiale non viene descritto, ma risolto sul piano percettivo. Ogni sguardo diventa un test e ogni osservazione apre una variazione. Ben prima dell’intelligenza artificiale, pensatori come Ernst Gombrich (1909 – 2001) avevano già messo in discussione l’idea che esistesse la visione oggettiva. Ne L’immagine e lo sguardo, Gombrich affermava che l’“occhio puro” non esiste, perché ogni osservazione è mediata da ciò che siamo, da ciò che sappiamo, da ciò che vogliamo vedere. La visione, dunque, è sempre interpretazione.

Kevin Abosch, Parallax, 2025, Palazzo Citterio, La Grande Brera, Milano, courtesy l’artista

Parallax raccoglie questo lascito teorico e lo rilancia in chiave contemporanea, ricordando che, nonostante la crescente intrusività della tecnologia nelle nostre vite, nei corpi e perfino nelle emozioni resta aperto uno spazio per uno sguardo critico. Non siamo condannati ad assorbire tutto ciò che ci attraversa. Possiamo ancora osservare, interpretare, ogni tanto resistere. Basterebbe instaurare un confronto. Anche nell’era dell’algoritmo, vedere può essere un gesto attivo, un atto consapevole, una forma di responsabilità.

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