La luce che si insinua dagli antichi finestroni nobiliari è vivace, fatta di spigoli e tagli ma anche di concavitĂ e convessitĂ , che impreziosiscono le opere di Dahn Vo, Candice Breitz, Satoshi Hirose, Gilbert&George, Carol Rama, Giulia Piscitelli, Jannis Kounellis, Damien Hirst, Thomas Ruff, tra gli altri. Ed è in questo ritmo articolato di materie e di atmosfere che si insinua unâaria frizzante e pastosa insieme, carica di un mare popolatissimo e della campagna fertile, cresciuta sui declivi del Vesuvio, come se la frenetica provincia vesuviana volesse trovare un attimo per respirare, per osservarsi. E, in effetti, Villa Campolieto, a Ercolano, lungo il miglio dâoro che va da Portici a Torre del Greco, è stata pensata in ogni minimo dettaglio, tanto estetico che funzionale, per rappresentare una sorta di buen retiro. Nei suoi disimpegni, nelle scalinate, nel porticato, si riconosce subito lo stile aulico e rococò di Luigi Vanvitelli, lâarchitetto dei Borbone, chiamato da Lucio di Sangro, duca di Casacalenda, a completare il progetto che era stato originariamente affidato a Mario Gioffredo. Oggi, in occasione dei suoi 50 anni e in vista di un ambizioso progetto di rivalutazione del suo patrimonio â 122 immobili monumentali settecenteschi compresi nel territorio dei Comuni di Napoli, San Giorgio a Cremano, Portici, Ercolano e Torre del Greco â la Fondazione Ente Ville Vesuviane riapre al pubblico Villa Campolieto, dando al mondo dellâarte di Napoli e dintorni un segnale âufficialeâ di ripartenza dopo un lungo, lunghissimo lockdown: a sostenere questo acuto, la Collezione Ernesto Esposito, che riallaccia i nodi con la grande ereditĂ lasciata dal contemporaneo internazionale sul territorio, citando il caso di âTerrae Motusâ.
Nella villa vesuviana, infatti, nel 1984, Lucio Amelio portò le opere della collezione ideata per rispondere alla sciagura del terremoto del 1980 e, attualmente, conservata alla Reggia di Caserta, altro gioiello vanvitelliano. E fu proprio insieme allâiconico gallerista, protagonista di quegli anni intensi per la scena napoletana, carichi di promesse, aspettative e possibilitĂ , che Ernesto Esposito iniziò la sua avventura nellâarte contemporanea, acquistando la Sedia elettrica, 1964, di Andy Warhol. Imprenditore e designer di calzature dâalta moda, con collaborazioni per stilisti e brand come Marc Jacobs, Karl Lagerfeld, ChloĂŠ e Louis Vuitton, Esposito ritorna quindi sulla scena di quellâepoca, portando 35 opere della sua collezione â che con 900 pezzi del XX e XXI secolo ha proporzioni veramente museali -, esposte in una piacevole mostra di ampio respiro, curata da Marianna Agliottone e ben allestita da Lucia Anna Iovieno, prodotta e promossa dallâEnte Ville Vesuviane, diretto da Roberto Chianese.
Lâesposizione, che scandisce gli spazi del primo piano della Villa, prende il titolo di âCosĂŹ fan tuttiâ, citazione esplicita, anche se di âgenereâ diverso, del âCosĂŹ fan tutteâ di Mozart, un dramma giocoso, ambientato in una Napoli elegiaca, tra caffè e giardini sul mare. Si trattava, principalmente, di storie dâamore dolcemente complicate da gelose simmetrie: Soave sia il vento / tranquilla sia lâonda / ed ogni elemento / benigno risponda / ai nostri desir. E anche in questo caso, tra sculture, pitture, installazioni e video, incrociando temi, stili, backgorund, linee analitiche e tratti sintetici, figurazioni a astrazioni caratterizzanti gli ultimi decenni dellâarte, si tratta pur sempre di sentimenti e di sguardi che, si spera, potranno portare a un lieto fine. Anzi, a una energica ripresa, inevitabile pensarlo quando la scenografia è uno scorcio di mare compreso nella cornice di due colonne.
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