Le giovani generazioni raccolgono l’eredità di Claudio Costa: la mostra a Milano

di - 21 Giugno 2025

Affermare che l’arte sia uno spazio di trasformazione pare non più così ovvio oggigiorno. Tutto guarda avanti, nel tentativo tragico di ovviare il disastro del presente e cercare un oltre che, ahinoi, ancora non si vede. Ogni cosa sembra chiara, coordinata, definitiva, condannante. Ed è forse qui il problema, ovvero la non accettazione della crisi come evento necessario a cui guardare.

Haunting spells. Fare mondi altrimenti, installation view, C+N Gallery Canepaneri, Milano, 2025, © C+N Gallery CANEPANERI.

L’arte di Claudio Costa (1942-1995), alla quale si rimanda senza retropensieri nella mostra collettiva Haunting spells. Fare mondi altrimenti, curata da Arnold Braho presso la Galleria Canepaneri di Milano, in una tale dinamica diventa imprescindibile punto fermo. L’esposizione si apre con Il cielo guardando… un quadro del 1978 realizzato da Costa con vari materiali su tela inseriti in una teca di legno. Un punto di partenza pionieristico e unico per linguaggio e metamorfosi.

Immagine manifesta e ascendente nel suo farsi strada. Di concetto e visiva, simbolica a dir poco, ma di una simbologia non attribuita arbitrariamente. Figure di uomini e materiali ad essi connessi. Guardano fuori, in alto, in basso, tra loro. A loro. Costa trovava andando A ritroso, così scrive il curatore nel titolo del suo testo critico. Una breve affermazione che, se da un lato, porta il ricordo dell’À Rebours di Joris Karl Huysmans, dall’altro sembra comprenderne la sottile portata. Andare indietro, ma per andare avanti. Uscire dall’impasse secondo un metodo e un ideale che l’artista aveva definito work in regress, di contro a un’idea di «avanzamento lineare a accumulatorio». Verso l’origine a mezzo di un «gesto critico capace di disinnescare le forme dominanti della razionalità moderna».

Claudio Costa, Il cielo guardando… 1978,materiale vario su tela inserito su teca di legno e vetro, © C+N Gallery CANEPANERI

Fare arte, in sintesi, è innanzitutto «crisi della forma, crisi del soggetto, crisi della presenza» (Braho), ora più che mai necessarie al fine di un nuovo orientamento. Una nuova costellazione di simboli che toccando la radice siano capaci di generare. Rituali che Costa riscontra nelle culture contadine e nelle pratiche alchemiche quali forme antagoniste della modernità. Indispensabili materiali organici e oggetti residuali che nel marginale trovano la giusta posizione per sconvolgere le gerarchie attuali. Eredità preziosa che nella mostra tenta il possibile incontro con le generazioni più giovani, dove è plausibile il ritorno dello spettro di ciò che è rimasto in sospeso (haunting), e gioca un ruolo non secondario l’atto trasformativo, o incantesimo, «capace di incidere simbolicamente sulla realtà». Sorprende, pertanto, la vicinanza involuta delle differenti maniere, a partire dall’installazione Inner Etnobotanic Cartography del 2005 di Peng Shuai Paolo (1995) dove elementi naturali e rituali dialogano con oggetti di uso quotidiano e simboli ancestrali, dall’Artemisia verlotiorum al piffero di bambù della Cina pre-rivoluzione culturale.

Haunting spells. Fare mondi altrimenti, installation view, C+N Gallery Canepaneri, Milano, 2025, © C+N Gallery CANEPANERI.

Secolare e millenaria, radicata e stravolta, eppure attuale e nuovamente critica. Posta in gioco affatto didascalica che ritorna quasi con provocazione negli ex voto in alluminio di Ginevra Petrozzi (1997), capaci di trovare nessi non improbabili di amuleti e talismani con le infrastrutture informatiche contemporanee, Congregation of Mysteries (Ex votos), 2024. Immersione nella continuità non evolutiva dell’immagine, che nell’opera Alessandro Di Lorenzo (1996) ammicca di nuovo all’alluminio e con il suo Utensile per immaginare un mondo possibile si instilla tra rovina e archetipo ispirandosi ai bastoni degli antichi
àuguri. Unità d’esposizione ora battuta nella scultura Sentinel (2024) di Sofia Salazar Rosales (1999) nei termini essenziali di una lamina di piombo, ferro e rame, in un enigmatico centro che oscilla tra l’effige di un fiore e la girandola del vento.

Atti creativi agenti sulle formalità della materia. Soggettività queer, il corpo come luogo di piacere, incisi da Stefano Serretta (1987) su marmo Calacatta a partire da riviste erotiche e pubblicazioni censurate di primo Novecento (STRESS, 2024). Gesti e segni, in ultima analisi. Archeologie intagliate che, se non ribaltano le prospettive, quantomeno trovano respiro e solide fondamenta nel movimento regressivo di una crisi.

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