Lucid Reverie: una mostra per indagare l’identità dell’arte contemporanea portoghese

di - 12 Agosto 2025

Lucid Reverie è il titolo della nuova mostra alla Galeria Municipal do Porto, ma è anche una dichiarazione di intenti, un invito a lasciarsi attraversare dalla fluidità di una “lucida fantasticheria” e a utilizzarla come strumento critico. Fino al 12 ottobre 2025, questa collettiva si presenta al pubblico come un caleidoscopio di frammenti: il frammento di un più ampio schema, di un processo invisibile di cui la mostra non rappresenta che il punto di arrivo; un frammento – parziale ma fortemente evocativo – della scena dell’arte portoghese contemporanea; un frammento che accoglie e presenta artisti provenienti da contesti e generazioni differenti. Curata da Hiuwai Chu e Raphael Fonseca, l’esposizione riunisce una polisemia di voci, venti tra artisti e collettivi, tutti con uno stretto rapporto di relazione con il Portogallo.

L’allestimento si articola sui due piani della Galeria Municipal ed è come se fossero le opere ad avere il controllo sullo spazio, e non lo spazio ad ospitarle. Questo perché il dialogo fortissimo che scaturisce dall’assenza di un filo conduttore che appaia lampante, entrando nella sala, fa sì che la pluralità di voci e personalità degli artisti acquisisca una sua materica conquista dello spazio stesso. «Sapevamo di non voler impostare il progetto su un tema dominante da imporre agli artisti, cercando solo chi vi si allineasse. Abbiamo invece scelto di affrontare gli incontri e le visite agli studi con apertura, lasciando che si creassero legami naturali tra ambiti di ricerca e sensibilità artistiche», affermano i curatori.

Lucid Reverie, Exhibition view. Credits Dinis Santos-GMP

E se da un lato questa scelta curatoriale non può che generare un senso di quasi dispersione, all’interno della Galleria, dall’altro riesce in maniera inequivocabile a tracciare un ritratto quasi fotografico di un’arte che, per rispondere a una domanda che interroga l’identità di un Paese, non può che rivelarsi immensamente sfaccettata. Si genera quasi una “sovrapposizione” nello spazio delle opere: non ci sono confini di azione e ogni pezzo conversa schiettamente con un altro. Lo spazio della prima sala si lascia attraversare da una luce che bagna ogni opera e favorisce il dialogo; il buio della sala al piano superiore, d’altro canto, cristallizza la compiutezza di ogni riflessione e appare improvvisamente labilissimo il confine fra sensibilità, tematiche, media, età e provenienze geografiche, mangiato da un contesto scuro che appiattisce quelle stesse campiture che la luce abbracciava, mettendole in ombra e illuminando invece la profondissima ambivalenza, il mistero, l’apertura alla possibilità di cui la mostra si fa cassa di risonanza.

Lucid Riverie, Sofia Borges (left) and João Gabriel (Righ). Credits Dinis Santos-GMP

Una mappa incompleta, ma estremamente vibrante

Lucid Reverie si tiene lontana dal voler essere un’esaustiva narrazione della scena artistica portoghese; preferisce insinuarsi nei solchi e abitare le crepe di un racconto, non urlando affermazioni ma proponendo nuove traiettorie di lettura. Un progetto che ambisce a portare in mostra, silenziosamente, un po’ anche tutto il processo che lo ha generato. Come suggerisce il titolo, la lucidità come modalità di consapevolezza critica si relaziona con il sogno come atto di libertà immaginativa, abbattendo l’aspetto apparentemente ossimorico di questo incontro per diventare strumento essenziale di pensiero e trasformazione, con la volontà fortissima di presentare al mondo degli artisti dalle pratiche solide e coerenti ma poco riconosciuti a livello internazionale.

Lucid Reverie, Opening. Credits Sérgio Monteiro-GMP

Temi urgenti e sguardi fluidi

I lavori esposti affrontano le urgenze del nostro tempo, scontrandosi con questioni di identità, crisi ecologica, appartenenza, memoria e lascito postcoloniale. Si evita ogni rigidità tematica o illustrativa: l’arte diventa uno strumento non tanto per spiegare il mondo, quanto per metterne in luce e amplificarne le contraddizioni. «Nonostante la varietà formale, queste pratiche si intrecciano attraverso temi ricorrenti che si rispondono in un dialogo silenzioso, accompagnato da una poetica interpretativa che celebra il sottile, l’effimero e il mutevole come forme di resistenza e riflessione», afferma Hiuwai Chu.

Nei due corti di Sofia Borges, 53 e Súlu S’Aua, il gesto cinematografico incontra la necessità di tenere viva la memoria del massacro di Batepá a São Tomé e Príncipe, e si traduce in una narrazione in cui storia e spiritualità si intrecciano, decostruendo il tempo e con una silenziosa e immanente tenacia della sofferenza: due squarci di luce nel buio del secondo piano. Untitled, le tele di João Gabriel, esplorano l’intimità e la complessità delle relazioni in gesti appena accennati, abbozzati, quasi sospesi, ma dalla fortissima persistenza evocativa di un “non detto”. Complex and Dynamic Native World e I am molten matter returned from the core of the Earth to tell you interior things: le linee metalliche di Joana Escoval fondono leggerezza e delicatezza a una ostinata occupazione dello spazio.

Lucid Reverie, Joana Escoval. Credits Dinis Santos-GMP

Le forme dell’ambiguità

«Questa selezione di artisti le cui pratiche non rendono quasi mai esplicita la loro appartenenza nazionale, potrebbe essere una sorta di risposta alla fallacia di qualsiasi progetto curatoriale a impostazione nazionale? Forse.». E nella finestra di questa ambiguità, così rara e necessaria, lontano da estetiche gridate o da strategie curatoriali preconfezionate, si inglobano anche linguaggi che navigano nel mare della reinvenzione, come nel caso di Climacz di João Pedro Vale e Nuno Alexandre Ferreira, che rievoca il primo party LGBTQIA+ organizzato a Lisbona nel 1995: un’installazione che si espande in una festa notturna al Maus Hábitos, tra performance, DJ set e scenografie queer. L’arte diviene spazio rituale, affettivo, comunitario.

Lucid Reverie, Exhibition view. Credits Sérgio Monteiro-GMP

Il Portogallo come fantasmagoria di sfaccettature

Lucid Reverie rappresenta, in definitiva, un’operazione tanto curatoriale quanto politica. Una mappa affettiva e sensibile che ci chiede in punta di piedi di allargare lo sguardo, abbandonando ogni volontà di controllo e classificazione. E se il concetto di eteronimia è tanto profondamente radicato nella cultura letteraria portoghese, pensare alla difficoltà di “bloccare” in una definizione un soggetto – la categorica impossibilità di racchiudere una persona, una nazione in una sola affermazione – combacia perfettamente con una mostra che è corale ma allo stesso tempo eteronima, estremamente complessa e insieme schietta e lineare, sognante e razionale.

«Mi sento multiplo. Sono come una stanza con innumerevoli specchi fantastici che deformano in riflessi falsi una unica anteriore realtà che non è in nessuna ed è tutte.» (Pessoa, Tutto quanto ho sognato)

Lucid Reverie, Tiago Mestre. Credits Dinis Santos-GMP

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