Orologi ribelli: Concetto Pozzati in tempo di pandemia

di - 9 Ottobre 2021

Chissà cosa penserebbe oggi il filoso Johann Gottfried Herder, che intravedeva nel caso e nel tempo i più grandi tiranni della storia, di un possibile effetto dell’incontro tra questi due dominatori dell’individuo: il primo, rappresentabile con il piombare violento della pandemia e il secondo, che da questa ne è uscito profondamente cambiato. Perché nulla, infatti, è più impalpabile dello scorrere del tempo, dell’impossibilità di arrestarlo e manipolarlo a proprio piacimento: è qualcosa la cui supremazia va oltre ogni possibilità umana. Discorso analogo per il caso, il cui flusso avanza al di là delle nostre fantasie e della nostra volontà.
E qual è la conseguenza di questa consapevolezza? Il prodotto del sapere di questo limite insormontabile è un avvicendarsi di ansie, di desideri, e di tentativi gestionali delle giornate; bramosie che accendono un circolo vizioso di malessere che induce alla revisione continua dei programmi quotidiani, con cancellazione, talvolta, di momenti o piacevoli esperienze che potrebbero giovare o arricchire. Quest’assuefazione al susseguirsi del ritmo reiterato delle giornate, soggette alla “dittatura dell’orologio”, ha subito uno scossone radicale in seguito allo stravolgimento portato dall’emergenza pandemica. L’improvvisa quantità di tempo riversatoci addosso ha destabilizzato il rodato approccio alla quotidianità, ma ha consentito (in buona parte delle persone) di prendere coscienza dell’importanza del tempo, talora sottovalutata. Se n’è compresa la definizione e si è colta l’importanza dell’aspetto psicologico nella sua fruizione. La necessità di dover riprogrammare un’improvvisa quantità di ore “svuotate dalla solita routine”, dopo una presa di coscienza iniziale, ha permesso di tornare a riappropriarsi delle proprie passioni al di fuori degli scarsi spiragli di libertà che la società, sino al primo lockdown, concedeva.

Courtesy Archivio Pozzati. Il ricevuto, l’impiego del tempo, 1977 collage su carta, 100×70

Chissà, invece, come avrebbe vissuto questo periodo e questa condizione esistenziale Concetto Pozzati (Vo’ 1935 – Bologna 2017, tra i massimi esponenti della Pop Art italiana) – “tornato” in mostra grazie al sodalizio tra l’Archivio Pozzati e la bolognese Gallleriapiù con “Vulv’are”, l’ultimo ciclo pittorico realizzato prima della morte (Galleriapiù, 09.10.2021 – 18.12.2021) – che contro la tirannia del tempo ha dedicato diverse opere nella sua carriera.
Pozzati ha incontrato spesso il tempo, come era solito dire, e lo ha sfidato sotto diverse luci; lo ha indagato dal punto di vista tecnico, ovvero nella successione di secondi, minuti, ore e lo ha studiato nelle sue sfaccettature più concettuali e profonde: come custode della memoria, degli incontri e delle opportunità.
Ne ha fatto in qualche modo un filo conduttore, un tema che ciclicamente interagiva e si interfacciava con il lavoro.
Il primo confronto strutturato con il tempo, come una sorta di rito iniziatico, avviene nel 1977, con il ciclo di opere L’impiego del tempo (titolo che ci ricorda il prezioso testo di Michel Butor) il cui intento era rendere percepibile e dimostrabile l’uso del tempo da parte degli individui con oggetti “ritrovati”. Ambizione indubbiamente molto complessa, risolta strategicamente facendo “galleggiare”, prendiamo in prestito il termine direttamente dagli scritti del maestro, fotografie, “accessori”, buste, lettere spedite da/a persone sconosciute su pannelli di legno, sulla tela o sulla carta. Questi oggetti cartacei colorati, sbiaditi, talvolta laceri, testimoni del tempo e di una memoria altrui, sono stati recuperati e resi eterni attraverso condivisone, con un gesto apparentemente semplice: stesura della colla e affissione o, per rendere ancora più significativo il messaggio, fissaggio con punti metallici sul supporto scelto. La tecnica del collage, del resto, è un escamotage stilistico ricorrente nelle opere dell’artista, proprio per l’opportunità di creare dialoghi e rapporti tra materiali eterogenei o composizioni di elementi monotematici originariamente lontani tra loro.

Courtesy Archivio Pozzati. L’impiego del tempo, 1977 collage su carta 100×70

Altrettanto frequente è l’uso dell’assemblage, a cui Pozzati ricorre per il secondo importante lavoro legato al tema del tempo. Il tempo va d’intorno con le force, del 1978, presenta infatti l’accostamento di una vecchia sedia, ormai usurata, ad alcuni oggetti appartenuti al padre e ad alcuni prodotti dall’artista (“isole di cera spesse dove immagini affioravano come filigrana”). La seggiola è un’oggetto presente sin da subito nella vita delle persone ed è un arredo che può evocare la figura di chi l’ha utilizzata e consumata. È un arredo che, ad un certo punto, smette però di svolgere la sua funzione e si trasforma in un reperto archeologico del passato. Eppure, l’oggetto appartenuto ad una persona può essere tolto dalla stratificazione della polvere del tempo e riportato in vita con un gesto artistico che pone sullo stesso livello, letteralmente, epoche e ricordi diversi; il senso del lavoro, talvolta, non è solo nell’opera finita, ma è custodito nel valore dell’azione. Ma dove va a finire il presente quando è passato? Nella scrittura, secondo Proust, e grazie alla scrittura può essere recuperato. Possiamo infatti salvare il tempo e chi lo ha vissuto scrivendo, perché scrivendo fissiamo il tempo e, dal momento in cui siamo memoria, la scrittura attiva il ricordo che rende nuovamente presente il passato. Anche scolpire e dipingere, in qualche modo, sono azioni di recupero come la scrittura. Lo sapeva molto bene Pozzati (artista/scrittore) quando sottolineava l’importanza dell’appropriazione del tempo in quanto componente essenziale per la comprensione del senso autentico del passato e della sua irreversibilità. Con Tempo sospeso del 2008, un articolato ciclo pittorico, l’artista sfida la fisica sperimentando una smaterializzazione della misura del tempo. Tra pirografia, smalto e acrilico pastoso osserviamo una ricca gamma di orologi variopinti e variegati, antichi e moderni, da tasca, da polso, preziosi e comuni, ma soprattutto, spesso, senza lancette o con lancette ferme e “obliterate”. In tutti i casi, comunque, sul quadrante di questi orologi ribellati alla convenzione, il tempo è fissato, è fermo e non può più comandare, ma può essere ascoltato e percepito. Sospendere il tempo, in una società dominata dagli orologi, è la condizione indispensabile per poterlo apprezzare nuovamente. Pozzati, in qualche modo, lotta contro i tiranni di Herder e, riflettendo sui concetti di “quotidianità” e “esistenza” teorizzati dal filosofo Heidegger, cristallizza l’unicità, l’esclusività e l’importanza del “momento”.

Courtesy Archivio Pozzati. Tempo sospeso 2008 acrilico, olio e smalto su tela 100×150

E se la “lancetta obliterata” fosse una personale madeleine proustiana? Il morso dato al piccolo dolce, superando il limite temporale, fa tornare alla mente un pezzo d’infanzia dello scrittore. Ogni occasione di “abbondanza di tempo”, se compresa, coltivata o stimolata da incontri positivi, quelli che anche la pittura (aiutata dal collage o l’assemblage di “oggetti ritrovati”) può trasmettere, è occasione di riflessione e di ricordo.
È interessante, perciò, domandarsi realmente come Pozzati avrebbe impiegato questo “tempo sospeso” universalmente concesso, cosa avrebbe prodotto e quale lezione ci avrebbe trasmesso.
Certamente, studiando i suoi scritti e i suoi lavori possiamo fare tesoro della trascrizione in opera dell’importanza di impiegare il tempo come presenza decisa e cosciente, perché, come scrisse il giornalista Art Buchwald, “che sia il migliore o il peggiore dei tempi è il solo tempo che abbiamo”.

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