Quali sono state le impressioni, le emozioni, al momento della ricezione dell’invito a partecipare all’udienza papale dedicata agli artisti?
«La prima impressione è stata di sorpresa, perchè non mi aspettavo che il Vaticano pensasse agli artisti o volesse incontrarli, e non mi immaginavo di poter essere un artista che finiva in una loro lista. Mi ha fatto anche piacere e mi ha stimolato la curiosità di partecipare a un evento sicuramente speciale. Infine, quando nell’invito è coinvolto un signore come Jorge Bergoglio, la stima per il personaggio scioglie ogni timidezza».
Come lei, Stefano Arienti, ha accolto il discorso di papa Francesco e quali sono le sue osservazioni in merito?
«Il discorso è molto chiaro e cordiale, accantona gli aspetti dottrinali o teologici e si concentra su quelli sociali. Una visione anche laica dell’arte che non ci si aspetterebbe dal Papa. Ma è anche una chiamata a essere interlocutori previlegiati nei confronti della Chiesa, quando Francesco ribatte, fin dal principio, del rapporto “naturale e speciale” che la Chiesa ha con gli artisti e viceversa. Anche la chiusa del discorso è altrettanto chiara, con l’invito a portare arte e cultura a chi non ha mezzi e proprio per questo ne ha più bisogno. Questo appello diretto ai personaggi che producono cultura in prima persona, indica che la Chiesa ha bisogno di non sentirsi isolata anche sul piano della cultura, in un momento storico dove la geopolitica e l’economia schiacciano o isolano anche i soggetti più forti. E solo una chiara consapevolezza culturale aiuta a resistere».
Quale è la sua esperienza di lavoro con i temi del sacro e della Chiesa?
«Ho lavorato a lungo con i temi del sacro, ma non credo di averlo fatto nella Chiesa. Ho vissuto la condizione speciale di aver trovato, nella Chiesa, dei soggetti che sono attenti a chi può portare, da fuori, quella qualità che può rendere un progetto di arte sacra attuale e vivo. Mi piace lavorare su committenza e, in occasione di quella religiosa, ho avuto dei bravissimi committenti».
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