Questione di sguardi: quattro mostre alla Fondazione Sandretto

di - 5 Novembre 2022

Questione di sguardi, in fondo è sempre lo stesso gioco. La magia è riuscire a declinarlo ogni volta in maniera diversa, prendendo direzioni inaspettate, oscure o luminose, misteriose oppure rivelanti, guardando di sottecchi, fingendo una immobilità camaleontica, schiudendo gli occhi, oppure alzandoli al cielo e aguzzare la vista, per entrare nei filamenti della materia. In questi giorni convulsi di una Torino Art Week vitalissima – a proposito di superlativi assoluti – di sguardi incrociati se ne attraversano tanti e alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, in particolare, se ne offrono tre e mezzo, quasi quattro.

Ci sono gli occhi che sembrano seguirti, non staccartisi da dosso per ipnotizzarti, dei volti di Victor Man. In mostra, a cura di Eugenio Re Rebaudengo, 19 opere realizzate dall’artista di origini rumene, nato nel 1974, che ampliano e restringono il campo di possibilità del genere visivo per eccellenza, il ritratto e l’autoritratto, vale a dire dall’una e dall’altra parte del volto, la prima e l’ultima cosa a essere rappresentata, immaginata, sognata.

“Eyelids”, palpebre, è il titolo dell’esposizione, che oltre a percorrere i punti salienti della ricerca di Man, che ha esposto nei musei di tutto il mondo, dalla Tate di Londra al Centre Pompidou di Parigi, dal MUDAM di Lussemburgo alla GAMEC di Bergamo, fino al SFMOMA di San Francisco, avvolge in un gioco di scoperte, citazioni calibrate e rimandi raffinati a tutta la grande storia dell’arte della pittura delle avanguardie tra Ottocento e Novecento. E così, mentre i volti osservano, spingendosi oltre la superficie, e poi si ritraggono, guardando da un’altra parte, noi possiamo lasciarci sedurre da quel piccolo particolare, quella impressione specifica, piccola ma precisamente identificabile, che ci ricorda un Munch, un Kirchner, un De Chirico, addirittura un blu Picasso. Un po’ come succede con certi tratti somatici che sembrano svanire nella composizione del volto e invece poi ci rimangono impressi in maniera indelebile.

E poi, appunto, alziamo gli occhi al cielo, avvolti dalle riprese e dal suono di “Air Pressure (A diary of the sky)”, un racconto di Lawrence Abu Hamdan, suggestivo per quanto crudamente realistico, intriso di una cronaca spietata e narrata con spiccata sensibilità. L’artista libanese, che nel 2019 ha vinto il primo Turner Prize collettivo della storia prestigiosa del premio, ha esplorato «L’ecologia del rumore propria dello spazio aereo libanese», per mettere in evidenza gli episodi in cui l’aviazione israeliana ha attraversato i cieli del Libano, violando gli accordi tra le due nazioni, mediati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Tutt’altro che spazio libero e neutrale, il cielo azzurro, meta ideale e onirica, si tinge di tremori e onde sonore minacciose, che sovrastano i rumori di ciò che accade in basso, nelle strade e nelle case. Curata da Irene Calderoni e Amanda Sroka, la mostra ricostruisce in maniera immersiva questa sensazione di poetica oppressione, con una proiezione ambientale “obliqua” e un impianto sonoro che riesce a entrare sottopelle. Prodigi della tecnica, quando è accompagnata da una vena poetica.

Per chiudere (ma non gli occhi), altri due progetti espositivi. Curata da Irene Calderoni e Bernardo Follini, “Backwards Ahead” presenta una serie di opere della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, ad aprire una prospettiva parziale – e per questo preziosa, inequivocabile – sull’arte contemporanea. A dare il titolo all’esposizione, l’opera dell’artista e regista Kiran Subbaiah, di origini indiane e formatosi a Londra: una intrigante installazione a circuito chiuso che – un po’ alla Nam June Paik – distorce il rapporto percettivo tra il tempo e lo spazio, mediato dallo sguardo e dalla memoria, catturando immagini dei fruitori in movimento e replicandole su piani sfalsati. June Crespo, Liz Glynn, Paul Graham, Josh Kline, Goshka Macuga, Yinka Shonibare, Slavs and Tatars, Simon Starling, Kiran Subbaiah, Andra Ursuta, sono gli altri artisti in mostra.

Backwards Ahead

Infine, “Liquid Transfers” di Diana Policarpo, come vincitrice dell’Illy Present Future Prize Exhibition 2021 ad Artissima. A cura di Bernardo Follini, la mostra presenta una nuova produzione che si inserisce nel più ampio percorso di ricerca, portato avanti dall’artista nata a Lisbona nel 1986 e dedicato all’incrocio, alla sovrapposizione, all’ibridazione, tra le simmetrie del mondo vegetale e gli incastri delle sfere sociali, politiche ed economiche che determinano gli ordinamenti intercorrenti tra noi esseri umani. Riprendendo il topos visivo del documentario scientifico, Policarpo schiude i micromondi del Cordyceps, un fungo che cresce nelle larve della falena Thiratode, e della Claviceps purpurea, parassita della segale noto anche come ergot, per rivelare la connessione latente tra il sotterraneo e il superficiale, tra il nascosto – agli occhi umani o almeno ad alcuni – e l’evidente, che è poi il divario fondamentale tra chi esercita il potere e chi lo subisce, il più delle volte senza esserne nemmeno consapevole, come un soggetto/oggetto ospite.

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