Survival Kit 16, installation view, Riga 2025. Photo Kaspars Teilāns 5
Fondato nel 2009 in risposta alla crisi economica che in quel periodo colpiva la Lettonia, il Survival Kit ha sempre avuto per obiettivi l’indagare e il riflettere criticamente sull’evoluzione della società contemporanea, nelle sue varie dinamiche. Questa sua missione ne ha fatto una piattaforma chiave nelle attività del Latvian Centre for Contemporary Art, il quale, nel corso di un quarto di secolo, ha a sua volta costantemente promosso lo sviluppo dell’arte contemporanea in Lettonia, offrendo agli artisti la libertà di espressione creativa e rafforzando la posizione della Lettonia sulla mappa artistica internazionale. Il Survival Kit è appunto una testimonianza di questo lungo impegno nel superare i confini dell’arte e nel costruire ponti tra culture e idee diverse. La scelta della sede di Survival Kit è parte integrante dell’identità del festival, poiché si svolge in edifici vuoti di Riga, esplorandone il potenziale e le possibili strategie di sviluppo che potrebbero essere utilizzate per rivitalizzarli. Curato dal collettivo curatoriale europeo Slavs and Tatars e da Michał Grzegorzek, il festival è organizzato dal Latvian Centre for Contemporary Art, e sostenuto dal Ministero della Cultura della Repubblica di Lettonia e vari altri soggetti fra cui anche dall’Ambasciata d’Italia a Riga.
Con i suoi 23 artisti partecipanti, la mostra Simurga nams/House of See-More riflette con efficacia sui temi proposti dai curatori, attraverso un’interpretazione profonda e accurata. Ogni artista è stato selezionato con attenzione affinché la sua prospettiva completasse e arricchisse il messaggio complessivo. Il nucleo concettuale nato dalla collaborazione tra l’associazione di curatori europei Slavs and Tatars e Michał Grzegorzek, invita il pubblico a riflettere sulle questioni di appartenenza, confini e identità collettiva in un momento in cui le divisioni geopolitiche e culturali stanno diventando sempre più profonde e dolorose. La riflessione prende forma nella mostra internazionale intitolata Simurga nams/House of See-More, al centro della quale sta idealmente il mitico, fiammeggiante e magnifico uccello Simurg, che nelle culture eurasiatiche simboleggia la liberazione sia in senso metafisico sia politico.
Gžegožeks, la cui esperienza nel campo delle performance, la cultura queer e le idee femministe, si armonizza e integra perfettamente con la natura ardente e mutevole di Simurg, il mitologico animale alla base concetto curatoriale; Slavs and Tatars, collettivo artistico fondato nel 2006, è noto per il suo approccio alle questioni sociali controverse, ed è profondamente radicato nella regione eurasiatica, nei territori compresi tra l’ex muro di Berlino e la Grande Muraglia cinese, concentrandosi spesso sui territori storicamente emarginati e oppressi dall’imperialismo russo e sovietico. Il collettivo è in grado di combinare cultura popolare, tradizioni spirituali ed esoteriche, storia orale, miti contemporanei e ricerca accademica, creando opere che affascinano e stimolano la riflessione.
Sulla base delle loro esperienze, i curatori hanno ideato un festival che affronta la situazione critica del trans-nazionalismo e della libertà, in un mondo in cui l’identità è spesso vista come singolare e riduttiva; per questa indagine hanno preso in esame fonti letterarie antiche quali Gli uccelli di Aristofane, Il convegno degli uccelli di Faruddin Attar, e il ciclo di canti lettoni Le nozze degli uccelli, dove le creature alate spesso si uniscono, superando i rispettivi limiti individuali, per raggiungere qualcosa di più grande di loro.
Fra i progetti più efficaci, quello di Filipka Rutkowska, artista performativa e storica dell’arte che si distingue per la sua inclinazione al genere; la sua installazione si compone di abiti usati trasformati in oggetti sensuali e simbolici per diventare contenitori di memoria corporea, intimità e incarnazione dell’universo queer; piuttosto che suggerire contraddizione, la combinazione di abiti associati all’espressione sessuale ed elementi legati all’autorità e alla performance sociale parla della simultaneità dell’esistenza queer, poiché desiderio e dominio sono visti coesistere all’interno di un unico linguaggio visivo. Uno sfrangiamento dei confini, questa volta del corpo e dell’identità, che allarga il punto di vista sulla fluidità indagata dal titolo della mostra. Sulla stessa china anche Ola Vasiljeva, la cui serie in fieri WC Ride trae spunto dalla logica visiva dell’illustrazione satirica e mette in scena una processione di figure ambigue bloccate in uno scambio di potere: dominanti ma sottomesse. Cavalcano – o forse sono cavalcate – un ibrido scarpa-carro, un veicolo sia comico sia cerimoniale, quasi una boccaccesca scena di una processione al tempo della Peste Nera; ma qui la scena si avvicina con ironia ai temi dell’identità non binaria, della teatralità e della futilità delle tassonomie.
Luīze Nežberte, con Receptacle (bin totem), riprende l’idea delle colonne dell’architettura greca antica che incarnano la donna come istituzione, simbolo di stabilità e resistenza in un mondo devastato dalla guerra, dove le strutture sociali sono sempre più instabili. Il suo lavoro è un potente commento sulla resistenza e la speranza in un’epoca piena di turbolenze e cambiamenti. La lamiera dipinta di bianco e nero imita la simmetria, l’equilibrio e le proporzioni dell’architettura greca, Ma in realtà si tratta di bidoni per i rifiuti. Riguardando lo scenario della Lettonia sovietica, il bidone è un protagonista silenzioso in molti spazi pubblici, dove si ergeva come “sentinella ecologica”. Anche la donna, con la sua capillare e necessaria presenza nella società, svolge un’importantissima funzione di educazione e “sorveglianza” civile, dalla quale passa il vero progresso etico degli esseri umani.
La mostra ha anche un approccio più politico, poetico, filosofico e metaforico, ad esempio con Revolution is a dinner party, Kexin Hao, attraverso una performance di marionette reinterpreta la frase di Mao “La Rivoluzione non è un pranzo di gala” e invita a riflettere sulla relazione cibo, familiari e “parassiti”, figure tratte dalle campagne lanciate da Mao per eliminare topi e passeri, considerati dannosi per i raccolti, in particolare del riso. Ma una divinità in forma di pesciolino d’argento interrompe il massacro, rivelando che topi e passeri sono un unico corpo: il passero è la bocca del mondo, che si nutre di semi; il topo è l’intestino, che digerisce i rifiuti della città. I corpi, quindi, anche sociali, sono tutti uguali, si estendono idealmente nel mondo attraverso il cibo, i rifiuti e la decomposizione, e mangiare condividendo il cibo è un atto comunitario di rivoluzione.
Più vicina al misticismo orientale, Falcon di Bekhbaatar Enkhtur, è realizzato in cera d’api e riflette uno stato di allerta e di transizione; la scelta della cera enfatizza la fragilità di un’identità plasmata dal movimento. Né radicato a terra, né sospeso in volo, il falco diventa una figura di migrazione che osserva, attende e si adatta. In tal modo esprime la silenziosa e necessaria forza di rimanere presenti a se stessi mentre la realtà circostante si trasforma.
L’ex complesso industriale di Grīziņdārzs, in Zemitāna iela 9, in passato ospitava la famosa fabbrica tessile Rīgas adītājs; adeguatamente ristrutturato, oggi ospita una sorta di “cittadella della creatività” e la sua scelta costituisce un’importante prima volta nella storia del Survival Kit, che sino ad oggi si svolgeva, infatti, in aree industriali abbandonate e dismesse. Questa scelta è anche la metafora dello sviluppo continuo della città e della sua capacità di adattarsi, trasformando luoghi apparentemente “inutili” in centri urbani dinamici, pulsanti di creatività e idee.
L’identità del festival Survival Kit è sempre stata strettamente legata ai luoghi in cui si svolge. Per anni ha cercato consapevolmente edifici vuoti, dimenticati o in attesa di ristrutturazione, non solo utilizzandoli come spazi espositivi, ma anche mettendo in luce il potenziale di questi “non luoghi” e mappando le possibili strategie di sviluppo dell’ambiente urbano. Quest’anno il Grīziņdārzs rappresenta un nuovo capitolo della storia: trasformato in una città creativa con l’obiettivo di diventare un luogo stimolante per le aziende che apprezzano il benessere dei dipendenti e un ambiente di lavoro creativo, nonché un nuovo punto di incontro per eventi culturali e sociali.
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