Numero 51 - Signed Sealed Delivered 2025
Una cartolina è sempre un po’ di più di ciò che mostra: dietro un’immagine stampata si nasconde la voce di chi l’ha inviata; una voce che parla di luoghi, con i frame migliori – o quasi – di una qualche città del mondo, parla di viaggi, con il francobollo rigorosamente applicato sul retro; ma parla anche di condivisione e di attesa: di quel tempo sospeso tra l’invio e la ricezione, in cui il messaggio viaggia e le parole restano in bilico, in attesa di essere lette. In poche righe bisogna far emergere sensazioni, emozioni e racconti. Il destinatario può essere chiunque o qualunque cosa: un amore, un nemico, un rimorso, un’ossessione, una verità scomoda, un insulto mai urlato, una speranza, una persona che non c’è più, oppure una versione passata o futura di sé stessi. La cartolina, nella sua totalità, diventa sia messaggio che opera d’arte. Non vi è distinzione tra fronte e retro, tra immagine e parola: l’intera superficie si trasforma in una tela bianca su cui imprimere l’essenza di un pensiero non espresso, trasformando un frammento di vulnerabilità, rabbia o sincerità in un gesto artistico. Da queste premesse, la concept gallery milanese Numero 51, attraverso un’open call, ha invitato gli artisti a utilizzare la cartolina come mezzo espressivo per dare forma a un “messaggio sospeso”, dando vita alla mostra Signed, Sealed, Delivered. Le cartoline sono appese e fluttuano all’interno di una struttura in legno; il filo rosso che le lega crea una trama di intrecci che ricorda il viaggio che hanno compiuto per arrivare alla buchetta della posta della galleria. Alcune non riportano alcun messaggio, altre parlano al sé passato e altre al sé futuro. Tra frasi e messaggi d’amore, le opere si fanno contenitori di parole e immagini intime e personali.
E se è vero che, con l’avvento del digitale e l’esplosione di internet, la pratica dell’invio di cartoline ha cominciato a diminuire drasticamente, oggi – in un’epoca in cui la comunicazione è istantanea e ogni persona è raggiungibile ovunque e in qualsiasi momento – spedirne una diventa un gesto controcorrente. Ma questo mezzo non è recente: dall’Europa all’Asia, nell’ultimo secolo la cartolina si è affermata come forma di comunicazione ed espressione creativa al di fuori dei circuiti ufficiali dell’arte. In Italia, il precursore fu senza dubbio il futurismo di Filippo Tommaso Marinetti, la cui forza innovativa risiede anche nel rapporto personale e sperimentale che ogni autore instaurò con il mezzo della cartolina. Parallelamente, diversi artisti – da Yves Klein a On Kawara – elaborarono strategie artistiche che sfruttarono il linguaggio postale come strumento concettuale e relazionale. Il carattere profondamente internazionale della mail art rende interessante osservare come, in ogni Paese, questo medium abbia dialogato con le tradizioni culturali locali, generando forme e linguaggi sempre nuovi.
In Giappone, ad esempio, quando nel 1871 il servizio postale introdusse ufficialmente le cartoline, queste divennero subito il mezzo privilegiato per scambi sintetici e rituali, spesso limitati alla scritta “Buon Anno” accompagnata dal nome e dall’indirizzo del mittente. Gli artisti del gruppo Gutai si distinsero per aver reinterpretato queste cartoline di auguri tipiche del nuovo anno, trasformandole in superfici sperimentali e supporti per la loro mail art, ribaltandone così la funzione originaria. In Corea del Sud, invece, il pioniere della mail art fu Kim Kulim, artista poliedrico e fortemente sperimentale, la cui ricerca attraversa pittura, scultura, installazione, performance, land art, video e mail art. Nel 1969 Kim realizzò Relics of Mass Media, considerato l’atto fondativo della mail art coreana. Insieme a Kim Tchah-sup, inviò 300 lettere a 80 pittori e 20 redazioni di giornali, in un gesto collettivo che intrecciava comunicazione, provocazione e arte. In un’intervista, Kim dichiarò: «Il mezzo stampato chiamato ‘lettera’ scomparirà presto, rimanendo solo come una reliquia. Ho creato un’opera d’arte universale che nessuna macchina potrà mai imitare». Oggi, più di cinquant’anni dopo, le sue parole risuonano con una lucidità tristemente contemporanea. Negli anni ’70 e ’80, la mail art si affermò come una rete internazionale sotterranea, libera dalle logiche del mercato e dai circuiti istituzionali. Le cartoline, spesso disegnate a mano, si trasformarono in piccoli capolavori unici, capaci di viaggiare da un continente all’altro con la semplicità di un francobollo, diventando messaggi di libertà, intimità e scambio creativo. Signed, Sealed, Delivered è aperta a Milano fino al 21 dicembre (su appuntamento).
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