Simbiosi o conflitto? L’arte digitale secondo Beeple e la lettura di Christov-Bakargiev

di - 23 Settembre 2025

Superare i rigidi confini dell’arte. L’artista, la curatela, la critica e il pubblico. Porsi come gate keeper, come nodo di azioni e relazioni estetiche e produttive, come promotore di un learning by doing collettivo, più che come un creatore di contenuti immodificabili nello spazio e nel tempo. Tenendo il passo con le tecnologie che mutano, si evolvono negli strumenti ma anche negli scopi. È l’operazione intrapresa con l’opera Diffuse Control dall’artista digitale Beeple, al secolo Mike Winkelmann, negli spazi del The Shed, l’innovativo centro culturale e artistico di New York.

Negli anni, l’autore non ha smesso di stupirci con lavori all’avanguardia come Everydays: The First 5,000 Days, un collage di 5mila lavori della sua serie Everydays, un’immagine al giorno per 13 anni, Human One, primo box/scultura video che ritrae un astronauta che attraversa paesaggi che mutano continuamente, o le serie dedicate a Donald TrumpInfinite Trump Dominating Covid, Crossroads, Trump Train -, in una costante rilettura satirica e grottesca dell’immagine pressante e invasiva del Presidente degli Stati Uniti d’America.

Beeple, foto Andrea Guermani, 2022

Riesce difficile anche definire le fattezze di Diffuse Control. Spazio aumentato, immersivo, cyberspazio in cui si assemblano azioni e proiezioni dell’artista, dei curatori chiamati a comporre un quadro di riferimento e del pubblico invitato a interagire con questo ambiente. Uno “Space” cangiante e innovativo. Una sorta di lean production dell’arte, in cui il coinvolgimento di tutte le parti chiamate in causa non è più per assemblare un’auto Toyota ma un oggetto d’arte. Anzi, un soggetto d’arte, in realtà. Sì, perché l’interazione con l’Intelligenza Artificiale è il core simbolico e simbiotico di tutta l’operazione.

L’opera che cambia forma continuamente, nella fenomenologia ma non nella sua ontologia, nella sua azione visiva ma non nella sua armatura logica e relazionale. Il futuro dell’arte, fatto di codici sorgenti e non di forme archetipiche. Il lascito di questa digital art nel futuro. Quali gli elementi che continueranno a vibrare dentro di noi? Un’arte che si trasforma con nuovi strumenti. Ma anche noi che sviluppiamo nuovi modi di fruire, ricordare, sentire l’opera.

Sono alcune delle questioni poste a Carolyn Christov-Bakargiev, curatrice della mostra-evento newyorchese – insieme a Dejá Aaliyah Belardo e Hans Ulrich Obrist -, veterana di Documenta 13, già direttrice del Castello di Rivoli – Museo d’Arte Contemporanea di Torino: fu proprio tra queste mura cinquecentesche che, nel 2023, l’artista statunitense, originario della South Carolina, portò l’opera FTX Board Meeting, Day #5676 (11.13.2022).

Beeple, Diffuse Control, 2025, Interactive kinetic sculpture and AI program. Courtesy Beeple Studios

L’opera Diffuse Control rappresenta la prima collaborazione tra l’artista Beeple, pioniere e innovatore delle arti digitali e il centro culturale polifunzionale The Shed di New York. Alla base del lavoro c’è l’idea di una produzione istantanea di forme e creazioni attraverso una forte interazione tra curatori, l’Intelligenza Artificiale e il pubblico. Sei curatori selezionano delle opere di base, un pattern di partenza. L’IA le mescola e gli dà una forma 3D. E poi il pubblico, attraverso diverse interazioni (pulsanti, slider, upload), determina il prodotto finale delle immagini proiettate dentro una box. La domanda, un po’ provocatoria è: dove è il lavoro, il tocco, l’impronta dell’artista? Di chi è (o sarà) l’opera?

«L’arte non è mai appartenuta esclusivamente a una mano o a una mente. Persino il cosiddetto pittore solitario era immerso in sistemi di estrazione dei pigmenti, apprendistati, commerci e rituali di esposizione. Con Diffuse Control, la domanda su “di chi è l’opera” diventa trasparente — è di Beeple ed è anche plasmata dalle sensibilità dei curatori, dalle logiche dei programmatori, dagli interventi imprevedibili del pubblico e persino dalle ricombinazioni dell’algoritmo. L’impronta dell’artista risiede dunque meno in un gesto unico che nell’orchestrazione di relazioni, nella creazione di un sistema in cui convergono molteplici agenti.

Beeple non è assente qui — la sua autorialità si sposta verso il ruolo di catalizzatore e di regista, un po’ come Duchamp con il ready-made o Cage con l’indeterminazione o Pistoletto nelle innumerevoli opere-azioni-relazioni dagli Oggetti in Meno al Terzo Paradiso. L’opera è precisamente questa instabilità dell’autorialità, e questa collaborazione».

C’è molta preoccupazione sull’impiego dell’intelligenza artificiale al giorno d’oggi. Implicazioni etiche, impieghi militari e tecnologici discutibili. Hinton, padre della moderna IA (teorico del deep learning dei moderni sistemi di chatbot), ha dichiarato di essere molto preoccupato per il futuro. Di qualcosa destinato a diventare inesorabilmente più intelligente e dunque più potente di noi. Ma in merito all’arte? Davvero dobbiamo temere una IA, dei sistemi intelligenti, delle reti neurali bioartificiali dedicate alla creatività, alla bellezza, alla sperimentazione? Non è forse l’arte un campo profondamente umano, empatico, virtuoso?

«Sì, ci sono motivi per essere preoccupati dell’intelligenza artificiale quando pensiamo alle armi autonome (robot, droni), alla sorveglianza o alle disuguaglianze economiche. L’IA potrebbe trovarci una specie avida di potere ed esecrabile. Ma l’arte, come la intendiamo solitamente, è diversa. L’arte non riguarda solo la produzione — riguarda l’attenzione, la risonanza, la relazione, riguarda un impulso umano profondo, quello dell’epifania e la conoscenza. Un’IA può generare immagini, suoni e strutture, ma non può sostituire la vulnerabilità umana che sottende il perché facciamo arte: il bisogno di piangere, celebrare, riparare, ricordare e, soprattutto, conoscere fenomenologicamente.

Ciò che l’IA può fare è ampliare il campo, offrendo altri ritmi e associazioni, destabilizzando le nostre assunzioni. Non dovremmo temere l’IA nell’arte — dovremmo piuttosto avvicinarla come un ulteriore medium attraverso cui gli esseri umani articolano il loro senso dell’esistenza, così come un tempo lo furono la pittura a olio o il video».

Beeple, Diffuse Control, 2025, Interactive kinetic sculpture and AI program. Courtesy Beeple Studios

Beeple si è mai posto la domanda del rischio di obsolescenza dei suoi lavori? Considerando la Legge di Moore (la potenza di calcolo dei computer raddoppia ogni due anni) e la crescita vertiginosa delle tecnologie grafiche si evolvono — al punto che ciò che oggi appare all’avanguardia rischia di sembrare obsoleto in pochi anni — quale parte della sua opera potrà sopravvivere a questa inevitabile accelerazione? Cosa sarà riconoscibile di Beeple quando le stesse piattaforme e i sistemi che oggi utilizza saranno archeologia digitale? E come si evolverà il suo pensiero e la sua visione nei prossimi dieci anni?

«Ogni arte rischia l’obsolescenza. I pigmenti delle caverne, gli affreschi medievali, l’architettura barocca — tutti erano legati a tecnologie e supporti che si trasformano e decadono. Ciò che sopravvive non è l’avanguardia tecnologica ma il nucleo poetico, la capacità di un’opera di cristallizzare un momento di pensiero, di sentimento e di conoscenza.

Il medium di Beeple invecchierà — le piattaforme di oggi potranno presto apparire arcaiche. Ma l’urgenza della sua satira, la sua critica dello spettacolo, la sua stratificazione di umorismo e distopia non si riducono al software. Tra dieci anni, la sua opera potrà migrare verso nuove forme mediali, eppure lo spirito di irriverenza ed eccesso, di riflessione sul delirio del nostro mondo saturo d’immagini, persisterà. È una questione, diciamo, di restauro».

Abbiamo iniziato a disegnare animali selvatici sulle pareti delle caverne. Poi siamo passati a plasmare la pietra e a usare pigmenti su tele e muri. Adesso scriviamo codici autogenerativi che producono senza il nostro intervento. Potremmo non essere più noi i destinatari di queste azioni, di questi lavori. A un certo punto, un’IA inizierà a produrre arte o azioni per altre Intelligenze Artificiali. Secondo lei il lavoro di Beeple può determinare un’accelerazione di questo processo di individuazione e soggettivazione della Macchina? E nella direzione di una frattura o di una futura simbiosi?

«È concepibile che le macchine un giorno realizzino immagini o testi principalmente per altre macchine. In un certo senso, ciò accade già nei loop infiniti di ottimizzazione algoritmica online. Ma l’arte ha sempre implicato un’alterità — fare qualcosa per un altro, che fosse umano, naturale, divino o immaginato. Se l’IA inizia a individuarsi, se le macchine diventano soggetti, allora l’arte sarà uno dei luoghi in cui incontreremo la loro soggettività.

L’opera di Beeple, con la sua fascinazione per l’accelerazione e per l’ibridazione della visione umana e di quella macchinica, non causa questo processo ma lo rispecchia, lo drammatizza, accelera la nostra consapevolezza di esso. Se ciò porterà a una frattura o a una simbiosi dipende da noi — da come scegliamo di vivere con i sistemi che abbiamo creato.

Ma questi sistemi in fondo sono anche molto fragili, pieni di glitch, e si arriva molto in fretta ai problemi della ricorsività. Sono tanto più interessanti quanto più le nutriamo di saperi nostri. Se non sono nutriti, si arriva presto al loro massimo e restano mediocri rovine di una industria nella quale avevamo posto speranze e paure, come relitti arrugginiti di fabbriche nella Ruhr».

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