Categorie: Attualità

I capolavori del Prado per raccontare gli effetti del climate change

di - 27 Dicembre 2019

Basta poco per cambiare tutto. Per esempio, cosa potrebbe mai succedere, con appena un grado e mezzo in più? Giusto per dirne una, l’estensione del ghiaccio nell’Artico e nell’Antartico, già ai minimi storici, sarebbe notevolmente diminuita. E senza il ghiaccio, l’oceano assorbirebbe più radiazioni solari, diventando più caldo. Insomma, per farla breve, avete presente una pentola con l’acqua che bolle? La catastrofe. Ma c’è ancora qualcuno che si ostina a negare gli effetti disastrosi del climate change. Per rendere più esplicita la gravità di questo effetto domino, il Prado e il WWF hanno presentato i frutti niente affatto rassicuranti della loro collaborazione: una serie di idilliaci paesaggi dei grandi classici della storia dell’arte, trasformati digitalmente in scene post apocalittiche, anzi, giusto qualche attimo prima.

I dipinti modificati sono stati installati sui cartelloni pubblicitari di Madrid e condivisi online utilizzando l’hashtag #locambiatodo per promuovere il dibattito sulla questione. Dobbiamo ammettere che alcune di queste “nuove” opere sono talmente surreali da sembrare quasi divertenti, se non fosse che la situazione è drammatica.

Evitiamo di dire la sciocchezza che le temperature, in fondo, sono sempre le stesse. Secondo i climatologi del National Oceanic and Atmospheric Administration – non proprio due chiacchiere al bar sotto casa – il novembre 2019 è stato il secondo novembre più caldo mai registrato, come del resto tutto il 2019. Quest’anno è stato particolarmente caldo anche a causa da l terribile El Niño, il fenomeno climatico periodico che provoca un forte riscaldamento delle acque dell’Oceano Pacifico Centro-Meridionale e Orientale. I cui effetti però sono stati ancora più estremi proprio a causa dell’inquinamento e delle emissioni di Co2.

Il progetto del WWF “+ 1,5ºc lo cambia todo” ha interessato quattro capolavori della collezione del Prado, tra cui Filippo IV a cavallo, di Diego Velázquez, che illustra efficacemente l’innalzamento del livello del mare. E poi L’ombrellone di Francisco Goya, che non serve più per rinfrescare una gentile signora distesa su un verde prato ma per proteggersi dal fango di un campo di rifugiati a causa degli effetti climatici.

«Per il museo, questo progetto rappresenta un’opportunità per mettere l’arte e i suoi valori al servizio della società», ha dichiarato in una nota Javier Solana, presidente del consiglio di amministrazione del Prado. «Il valore simbolico dei capolavori che presentiamo con il WWF è un modo eccellente per trasmettere a tutti e specialmente alle giovani generazioni ciò che è realmente in gioco in questa lotta contro il cambiamento climatico». Come abbiamo scritto già in altre occasioni, sarebbe bello e utile se anche i nostri musei facessero lo stesso. Per esempio, ve la immaginate una Venere che nasce da un deserto?

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