I membri fondatori di GCC - Gallery Climate Coalition. Courtesy GCC - Gallery Climate Coalition
Mentre a Belém, in Brasile, prosegue una COP30 segnata da negoziati delicati e pressioni internazionali per abbandonare i combustibili fossili, anche il mondo dell’arte torna a interrogarsi sul proprio impatto ambientale. In parallelo ai lavori del vertice, la GCC – Gallery Climate Coalition – rete no profit che riunisce oltre duemila tra gallerie, musei, fiere e professionisti in più di 60 Paesi – ha pubblicato un report quinquennale che mette a fuoco un dato significativo: l’80% dei membri che hanno iniziato a monitorare la propria impronta di carbonio nel 2019 è riuscito a ridurla del 25%. Bisognerebbe tenere in conto anche gli anni della pandemia e dei vari lockdown, durante i quali gli spostamenti sono stati ridotti di molto ma, in ogni caso, secondo le proiezioni, il settore sarebbe comunque sulla traiettoria giusta per centrare l’obiettivo di dimezzare le emissioni entro il 2030.
A Belém, intanto, più di 80 Paesi sostengono una roadmap per superare la dipendenza dai combustibili fossili. La presidenza brasiliana della conferenza ha introdotto nel dibattito un termine chiave, “mutirão”, che indica uno sforzo collettivo capace di ottenere ciò che il singolo non può realizzare. È l’approccio che viene richiesto ai rappresentati degli Stati presenti, chiamati a trovare un compromesso su tassazioni del carbonio, finanziamenti per il Sud globale, trasparenza della rendicontazione e soprattutto sull’adeguamento degli impegni di riduzione delle emissioni. L’addio ai fossili, auspicato dal presidente Lula, rappresenta il punto più simbolico e controverso dell’intero negoziato.
Questa logica di sforzo condiviso ritorna anche nel report della Gallery Climate Coalition, pubblicato in occasione della London Art+Climate Week. Il documento, intitolato Five-Year Review of Climate Action in the Visual Arts, è il primo bilancio organico del lavoro dell’organizzazione fondata nel 2020. Analizzando i dati forniti dai membri, identifica tre fronti come principali responsabili dell’impronta di carbonio del settore: spedizioni, viaggi aerei e consumi energetici, che insieme rappresentano dall’80% al 95% delle emissioni complessive. Il report mostra – o, piuttosto, conferma – anche una forte asimmetria: il 22% degli operatori produce la metà dell’impatto totale.
In occasione del lancio, l’analista ambientale Danny Chivers ha sottolineato come le emissioni del mondo dell’arte siano «Sproporzionatamente alte rispetto alla dimensione del settore». È una constatazione che riflette una realtà ben nota: un ecosistema scandito da fiere globali, movimentazioni rapide, viaggi frequenti. Ed è proprio su questi aspetti che si concentrano le raccomandazioni del report, che invita a preferire il trasporto via mare, a definire politiche di viaggio più sobrie, a ridurre la produzione di cataloghi e a migliorare l’efficienza energetica degli spazi espositivi.
Il caso di Christie’s è uno degli esempi più citati nel documento. David Finley, head of sustainability della sede londinese, ha spiegato come il passaggio alle energie rinnovabili, la riduzione della stampa e una revisione delle politiche di spostamento abbiano portato a un taglio del 69% delle emissioni tra il 2019 e il 2024. Per Frances Morris, ex direttrice della Tate Modern e attuale presidente della GCC, la sfida dei prossimi anni non sarà soltanto tecnica ma culturale: «I dati mostrano che quando il settore misura, pianifica e agisce, le emissioni diminuiscono. Ma il carbonio è solo una parte della storia: servono trasformazioni più profonde nelle nostre abitudini, nei modi di produrre mostre, collezionare, spostarsi. Arte e azione climatica devono procedere insieme».
Una volta stabiliti metodi di monitoraggio chiari e obiettivi comuni, anche un settore frammentato come quello dell’arte sembra essere in grado di intraprendere una strada condivisa, anche se sembra ancora lunghissima da percorrere.
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