23 persone in manette, 104 indagati, 80 perquisizioni in quattro Paesi europei e oltre 10mila reperti archeologici sequestrati. Sono questi i numeri dell’Operazione Achei che, portata avanti dalla Procura della Repubblica di Crotone, ha smascherato una ramificata associazione a delinquere, dal tombarolo all’intermediario, fino al ricettatore, finalizzata al reperimento di beni archeologici attraverso scavi clandestini e alla conseguente messa sul mercato nero internazionale.
I Carabinieri del Nucleo per la Tutela dei Beni Culturali ritengono che la banda criminale avesse come epicentro la Calabria. Qui venivano avviati gli scavi clandestini che avrebbero fruttato un guadagno di diversi milioni di euro ma i traffici erano destinati al nord Italia e, fatto che costituisce un’aggravante, anche all’estero. Per questo, a livello europeo l’esecuzione delle misure cautelari si è svolta con il coordinamento di Europol ed Eurojust.
«Grazie a sofisticate tecniche investigative e alla collaborazione di Europol e delle forze di polizia estere competenti, in Italia, Francia, Regno Unito, Germania e Serbia, il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale ha condotto a termine con successo una vasta operazione di contrasto al traffico illecito di reperti archeologici dalla Calabria al nord Italia e verso l’estero recuperando migliaia di beni e sequestrando materiali utilizzati per gli scavi clandestini. Un’operazione che dimostra ancora una volta l’eccellenza del Comando dei Carabinieri che opera dal 1969 a difesa del patrimonio culturale italiano. A loro, alla Procura Crotone che ha diretto le indagini e a tutti i soggetti che vi hanno partecipato va il plauso del governo italiano», ha dichiarato il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini.
L’indagine fu aperta nel maggio 2017, a seguito di diverse segnalazioni pervenute dai funzionari della Soprintendenza archeologica calabrese, che denunciavano la presenza di buche sospette e non autorizzate in siti archeologici come quello del tempio di Apollo Aleo, a Cirò Marina, di Casabona, di Cerasello, a Pietrapaola, e di Castiglione di Paludi, Cosenza. I carabinieri del Nucleo Tutela di Cosenza hanno tenuto sotto controllo per diverso tempo i tombaroli, effettuando intercettazioni e riprese ambientali anche attraverso l’ausilio di un drone. Le perequisizioni, scattate lunedì 18 novembre, hanno portato al rinvenimento di 10mila reperti, risalenti al periodo compreso tra il IV e il III secolo a.C.
L’associazione faceva riferimento a due indagati per i quali il gip del Tribunale di Crotone, Romina Rizzo, ha disposto la misura cautelare. In carcere sono quindi finiti Giorgio Salvatore Pucci, 59 anni, originario di Cirò Marina, e Alessandro Giovinazzi, 40 anni, di Scandale. Sarebbe proprio Giovinazzi il capo delle squadre di tombaroli, che hanno effettuato dei raid nei siti archeologici, usando anche mezzi meccanici, come bulldozer e metal detector.
I reperti erano immessi sul mercato anche attraverso le case d’asta, in particolare in Inghilterra e in Serbia. Più di 350 i funzionari in rappresentanza dei governi di Regno Unito, Francia, Germania e Serbia, che hanno contribuito all’operazione. L’accusa per tutti gli indagati è associazione a delinquere finalizzata al danneggiamento del patrimonio archeologico dello Stato, impossessamento illecito di beni culturali, ricettazione ed esportazione illecita.
A casa di uno dei capi sono stati recuperati cinque vasi e lucerne in terracotta, piatti con scene di animali, fibule e monili vari, di grande valore, come riportato da una fonte locale.
Secondo l’ultimo bollettino delle opere rubate pubblicato dai carabinieri, 8405 oggetti, tra manufatti archeologici, armi antiche, statue, dipinti e volumi preziosi, sono scomparsi in Italia, solo nell’ultimo anno. Nonostante il Nucleo Tutela abbia recuperato più di 3 milioni di oggetti d’arte e archeologia, ne mancano ancora oltre 1 milione all’appello.
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