Categorie: Beni culturali

Lo stato di musei e luoghi della cultura in Italia: cosa ci dicono i big data

di - 6 Marzo 2025

Presso la sala conferenze del Museo Egizio di Torino, è stato presentato l’Osservatorio MidaTicket Big Data e Luoghi della Cultura. Si tratta della prima e promettente realtà in Italia che mette insieme cultura e big data. Per mezzo delle più moderne e accurate tecnologie, l’Osservatorio si pone infatti come obiettivo l’analisi e l’elaborazione dei dati che riguardano l’afflusso, il comportamento e le preferenze del pubblico in ambito culturale e museale, al fine di produrre elementi di riflessione che producano azioni efficaci. Alla presentazione, oltre alle autorità, sono intervenuti il curatore scientifico del progetto, Prof. Guido Guerzoni dell’Università Bocconi di Milano, il direttore del Museo Egizio Christian Greco e altri personaggi esperti del settore musei e cultura di tutta Italia.

Realizzato con il supporto analitico di formules S.r.l., l’Osservatorio è già ben più di un esperimento e si propone, anzi, come strumento molto utile per tutti gli operatori del settore. L’approccio data driven è, infatti, in grado di fornire informazioni molto interessanti e dettagliate, utili a riflettere sul presente e, soprattutto, a immaginare il futuro del mondo della cultura in Italia.

Il progetto vanta a oggi, infatti, un’analisi su 35,7 milioni di biglietti venduti, per 1,5 miliardi di visitatori che tra il 2023 e il 2024 hanno varcato le soglie di circa 200 luoghi culturali per tutta la penisola.

Dalle prime analisi si evince che ben due su tre visitatori sono stranieri e molto spesso vengono dagli Stati uniti. Sei visitatori su dieci preferiscono comprare il biglietto sul posto, pur ricorrendo a pagamenti elettronici; mentre la booking window per le prenotazioni online si aggira intorno ai quattro giorni prima della visita per i musei e le collezioni permanenti, e circa ventuno per le mostre temporanee.

Ma questi sono soltanto alcuni dei dati che è possibile raccogliere e analizzare: molti altri, con varie modalità a seconda del fine e delle domande che vengono poste, sono eseguibili e potenzialmente forieri di nuovi e interessanti risultati. Anzi, a volte le conclusioni che si evincono dai dati sono persino sorprendenti.

Un risultato inatteso, per esempio, viene dall’analisi del comportamento reale dei visitatori rispetto alla possibilità di visitare gratuitamente i musei. Diversamente da quanto potremmo aspettarci, infatti, il pubblico non reagisce a questa proposta in maniera particolarmente entusiasta, anzi. Se il museo non si paga, insomma, il potenziale visitatore spesso declina la visita pur avendola prenotata (fenomeno del no show) oppure, più in generale, tende ad assumere comportamenti meno rispettosi ed entusiasti, scorrazzando per le sale.

Confrontando questi dati con altri che riguardano altri modi di spendere i quattrini per il tempo libero (eventi sportivi, musica pop o altro), si deduce poi che il pubblico italiano è disposto a investire denaro per divertirsi ma tende ad attribuire una maggiore desiderabilità e un maggior “valore” a eventi forse più pop ma di certo molto più costosi.

Non far pagare il biglietto dell’ingresso al museo, iniziativa pensata per favorire un allargamento del pubblico intenzionato a fruirne, non raggiunge quindi l’effetto sperato. Che cosa ci dice questa riflessione? Che quadro definiscono questi dati? Quali suggerimenti possiamo trarne per le politiche di pricing?

Questo è, naturalmente, solo un esempio, e i dati di per sé non danno risposte. Ma possono suggerire domande interessanti e, quindi, fornire elementi molto utili alla crescita del settore. Quel che è certo è che il ricorso intelligente alle tecnologie, ben elaborate – è bene sottolinearlo – da un’intelligenza tutta umana, può dare un impulso molto importante a tutto il settore culturale, fornendo indicazioni preziose su come e dove sia possibile intervenire per dare un boost a tutto il sistema, aggirando apparenze e luoghi comuni.

Certo è quasi banale dire che la cultura dovrebbe ricevere in Italia un’attenzione molto maggiore di quanto nei fatti non accada. Gli investimenti pubblici in questo settore sarebbero di vitale importanza e appare quasi paradossale che proprio l’Italia, nota in tutto il mondo per le sue bellezze, veda ancora troppo poco stimati settori che potrebbero rivelarsi – e in fondo sarebbero già – fondamentali come arte e cultura. E al di là delle – giustissime – considerazioni più generali, se l’obiettivo è individuare il modo più efficace e congruo per dare al settore ciò di cui ha bisogno, anche nella cultura, come altrove, l’investimento in tecnologie si rivela una scelta vincente.

Ma non finisce qui. Nel corso della presentazione è emerso anche un altro dato abbastanza curioso. Nella classifica dei musei più visitati al mondo figurano alcune ottime presenze italiane, prima fra tutte proprio il Museo Egizio di Torino. Questa è naturalmente una buona notizia.

Eppure non si può non notare l’esclusione, per lo meno nelle classifiche discusse nel corso della presentazione, di quasi tutto il mondo museale italiano del contemporaneo nelle posizioni più interessanti. Se in UK la Tate Modern vede ogni anno milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo e da diverse fasce sociali varcare le proprie soglie, c’è da chiedersi che cosa accada per i musei di arte contemporanea italiani, che non compaiono in classifica. Va da sé che i musei di casa nostra non possono vantare le dimensioni di realtà imponenti come il MOMA di New York o altre realtà importanti internazionali. Ma possibile che neanche uno entri per lo meno nella gara?

Che cosa accade? È un problema di comunicazione? Un modo di raccogliere i dati? Una endemica difficoltà da parte dell’arte contemporanea di farsi comprendere e amare dal pubblico italiano? Altri peccati come l’elitarismo o l’autoreferenzialità?

La domanda, anzi le domande, restano aperta e chiederebbero una risposta.

Certamente l’Osservatorio Big Data e Luoghi della Cultura, con gli elementi che saprà apportare al settore, sarà una buona occasione per riflettere su questi e altri punti, per poi capire in che modo muoversi. Bello sarebbe finalmente (far) comprendere che arte e cultura hanno un potenziale immensamente ricco, e soprattutto in Italia possono produrre un autentico benessere: non solo esistenziale (che già non è poco), ma anche economico, diretto e indotto.

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