Categorie: Beni culturali

Dove sono le statue di Palazzo Giustiniani Odescalchi? L’interrogazione al Ministro

di - 25 Febbraio 2022

Un complesso monumentale già vincolato dal Ministero della Pubblica Istruzione e definito come “unicum inscindibile” dal Ministero della Cultura, le cui opere d’arte, custodite al suo interno ma non inventariate, sono state disperse. È lo strano caso di palazzo Giustiniani Odescalchi, nel territorio del Comune di Bassano Romano, ceduto nel 2003 dalla famiglia Odescalchi di Bracciano allo Stato italiano e finito al centro di una interrogazione parlamentare firmata da Marzia Ferraioli, del gruppo Forza Italia, al Ministro Dario Franceschini.

Nello specifico, l’interrogazione verte sulla sorte della statuaria e degli elementi decorativi, venduti o dispersi «In spregio alle leggi e in particolare al codice dei beni culturali, che ne dovrebbero prevedere il recupero di tutte le sue componenti e la ricollocazione nel contesto originario», si legge nel testo dell’interrogazione. E dire che la spesa pubblica era stata di una certa importanza, dai 5 miliardi e 700 milioni di lire, al momento dell’acquisto, ai 3 milioni e mezzo di euro per i primi lavori, che avevano il fine di «Sostenere il complesso, restaurarlo e renderlo fruibile».

Palazzo Giustiniani Odescalchi. Foto: Stefano Rosati

La vita difficile di una prestigiosa collezione

Peraltro, le statue Giustiniani-Odescalchi di Bassano hanno la stessa matrice del nucleo Giustiniani-Torlonia a Villa Caffarelli. La genesi dei due nuclei è legata al potente banchiere Vincenzo Giustiniani (1564-1637), alla sua attività collezionistica e alla vocazione al mecenatismo. La raccolta, i cui pezzi più celebri sono riprodotti nell’opera a stampa “Galleria Giustiniana”, era destinata alle residenze della famiglia, Palazzo Giustiniani, due ville romane e, appunto, il palazzo di Bassano Romano. Per questo complesso, Vincenzo Giustiniani decise di affidare le decorazioni ad alcuni degli artisti più alla moda del tempo, come, tra gli altri, Paolo Guidotti, detto il Cavalier Borghese, Francesco Albani e Domenico Zampieri, detto il Domenichino, che realizzò un ciclo pittorico, attualmente restaurato, dedicato alle storie mitologiche di Diana.

Palazzo Giustiniani Odescalchi, opera del Domenichino. Foto: Stefano Rosati

Ma all’inizio del XIX secolo, costretta da pressanti difficoltà economiche, la famiglia Giustiniani avviò la vendita del prestigioso patrimonio artistico. Nel 1825, la famiglia Torlonia acquistò un nucleo di circa 270 sculture provenienti da Palazzo Giustiniani e oggi «Mentre il nucleo Giustiniani-Torlonia è celebrato come fondamentale per la cultura del nostro Paese, quello Giustiniani-Odescalchi è disperso, esportato nell’ombra», si legge nell’interrogazione, che continua: «La Soprintendenza dell’Alto Lazio, ufficio periferico del Ministero della cultura e organo di vigilanza, ad avviso dell’interrogante, avrebbe dovuto meglio vigilare sugli elementi culturali del complesso, non consentendo la libera disponibilità degli apparati decorativi».

«La statuaria costituita da reperti archeologici ex articolo 10 del codice dei beni culturali, considerati ope legis “beni culturali”, dovrebbe rientrare nella tutela e nella previsione di ripristino. L’interesse culturale unitario stava nell’intero inclusivo della statuaria e di altri apparati non amovibili; l’insieme ha indotto l’acquisto da parte dello Stato. La statuaria non era elencata nel vincolo solo per motivi tecnici di format dell’epoca, ma le statue erano ovunque documentate negli stessi Bollettini del Poligrafico dello Stato (anche nel film «La dolce vita» di Fellini); si trattava di elementi sufficienti a consentire l’individuazione ed il ripristino».

A questo punto, non è chiaro nemmeno se la movimentazione e la vendita delle opere e degli apparati possa essere ammissibile senza autorizzazione, in quanto di proprietà pubblica. «Alcune statue sono state rinvenute casualmente all’estero ed è ancora sconosciuto se sia stata formulata richiesta di esportazione agli appositi uffici».

Altro palazzo, altra interrogazione

Non è la prima volta che il nome degli Odescalchi finisce al centro di interrogazioni a causa delle responsabilità verso il proprio patrimonio culturale. Nel 2020, fu la deputata del Partito Democratico Vincenza Bruno Bossio a firmare un’interrogazione all’allora Mibac, per richiedere chiarimenti su Palazzo Odescalchi di Roma. Anche in quel caso, si trattava di sparizioni sospette di opere d’arte e di una serie di restauri che ne avrebbero alterato la struttura originaria, risalente ai progetti di Carlo Maderno e Gian Lorenzo Bernini.

Qui sono conservati capolavori inestimabili della storia dell’arte universale, come la Conversione di San Paolo, conosciuta anche come Conversione Odescalchi per distinguerla da quella di Santa Maria del Popolo, una delle poche opere di Caravaggio ancora di proprietà di privati. Nel corso degli anni, però, sono andati dispersi diversi beni di grande pregio, come le tappezzerie eseguite su cartoni da Giulio Romano e da Rubens. Gli Odescalchi sono ancora proprietari del Palazzo ma parte del complesso è suddivisa in varie unità immobiliari, in affitto.

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